Gentile direttore,
Pannella forse è in pericolo di vita. C’è chi lo prega di smettere lo
sciopero della sete, chi accusa i politici di indifferenza, chi invoca
alimentazione e idratazione forzate.
Tutti vogliamo che Marco viva, e non per la causa che difende (su
cui posso essere d’accordo, ma non è essenziale), non perché lui è un
protagonista della nostra storia (se fosse uno sconosciuto non
cambierebbe nulla) ma soltanto perché è un uomo, e ogni esistenza umana è
unica.
La sua battaglia, però, rivela una contraddizione profonda, un
estremo paradosso. I radicali sono i portabandiera dell’assoluta
autodeterminazione, fino a decidere della propria morte. Ma se così
fosse, perché mai dovremmo preoccuparci per Marco? Pannella è libero,
perfettamente consapevole dei rischi che corre; perché dovremmo sentirci
coinvolti? Si dirà che il suo non è un desiderio di morte, ma un metodo
di lotta. Ma se non ci fosse una cultura condivisa della vita a cui
appellarsi, se un uomo che si lascia morire non fosse considerato uno
scandalo che sollecita un sentimento collettivo di pietà e insieme di
ribellione, Pannella potrebbe spegnersi nell’indifferenza generale.
Insomma, se il favor vitae diventa secondario rispetto
all’autodeterminazione individuale, ne segue che Pannella fa della sua
vita quello che vuole, e il fatto di metterla a repentaglio riguarda
solo lui.
Eluana Englaro è morta disidratata perché lo ha stabilito un
tribunale. In quel caso ha prevalso il criterio dell’autodeterminazione,
benché utilizzato in modo ambiguo, visto che Eluana non era più in
grado di esprimere la sua volontà, e non aveva mai lasciato nulla di
scritto. Anche Stefano Cucchi è morto di fame e di sete, ma per lui,
invece, si è sollevato un unanime coro di giuste proteste. Eppure pare
che Stefano rifiutasse acqua e cibo e i medici accusati di averlo
lasciato privo di assistenza si difendono proprio con questo argomento.
Forse dobbiamo ammettere che se distruggiamo il principio del favor
vitae mettiamo in crisi il laico sentimento di fratellanza umana su cui
si fonda una comunità solidale. Saremo magari più autodeterminati, ma
indifferenti l’uno al destino dell’altro.