venerdì 13 novembre 2009

BERTONE: LO STATO RISPETTI IL DIRITTO ALLA VITA

Bertone: «Lo Stato rispetti il diritto alla vita»
 
Sette anni dopo la prima visita di un papa al Parlamento italiano, quella di Giovanni Paolo II il 14 novembre 2002, la Camera dei Deputati ricorda lo storico evento con una cerimonia cui partecipa il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Ospiti del presidente Gianfranco Fini, parlamentari, ecclesiastici e altre personalità assistono, nella Sala della Lupa, alla proiezione di di un documento filmato sulla vita di Karol Wojtyla curato da Alberto Michelini. Dopo il saluto di Fini e un ricordo di Pier Ferdinando Casini, il predecessore che accolse Giovanni Paolo II a Montecitorio, prende la parola il cardinale Bertone. Dopo aver ringraziato «di cuore» Fini per l’invito, e aver salutato Casini e Michelini, il porporato svolge un discorso non di circostanza. Non privo di riferimenti ad alcune delle questioni più spinose che caratterizzano il dibattito culturale, e politico, dei nostri tempi.

Il più stretto collaboratore di Benedetto XVI approfitta dell’occasione, infatti, per ricordare come Giovanni Paolo II, di cui cita l’enciclica Evangelium Vitae, «attraverso la sua sofferenza fisica ci ha richiamato il valore del Vangelo della Vita che impegna tutti, singoli, famiglie, associazioni e Istituzioni, ad adoperarsi 'affinché le leggi dello Stato non ledano in nessun modo il diritto alla vita', anzi promuovano 'la difesa dei diritti fondamentali della persona umana, specialmente di quella più debole', sia essa embrionale o morente». «Indubbiamente – ribadisce Bertone –, come il Pontefice ricordava proprio nell’Aula di Montecitorio, questi valori appartengono alla radice più profonda della tradizione e della cultura del Popolo italiano». Il porporato quindi rimarca che Giovanni Paolo II ha dimostrato anche di avere doti di «grande comunicatore, capace di dialogare in modo autentico e proficuo con i tanti interlocutori», ma tuttavia «ha sempre inteso affermare che alla base di ogni vero dialogo deve regnare l’amore per la verità».

Riprendendo il discorso pronunciato a Montecitorio nel 2002, Bertone ricorda che Giovanni Paolo II, «motivato dal profondo amore per la Nazione italiana», ha «voluto mettere in guardia dal rischio dell’alleanza fra democrazia e relativismo etico». «Forte di tale convinzione – ribadisce il Segretario di Stato –, la Chiesa considera perciò suo dovere intervenire sui temi che riguardano da vicino la crescita e lo sviluppo dell’uomo. Questo contributo non inficia, ma anzi arricchisce il principio di una 'sana laicità', perché si sforza di fornire un apporto originale alla costruzione del bene comune». E la locuzione 'sana laicità' è quella usata da Benedetto XVI nel 2006 al Convegno nazionale dei giuristi cattolici. Bertone illustra quindi la «passione per l’uomo, profondamente cristiana e sanamente laica» che ha spinto Giovanni Paolo II a raggiungere «ogni angolo della terra». E poi il rapporto di papa Wojtyla con i giovani a cui «ha anche mostrato il valore fondamentale dell’educazione per la costruzione della società». E nel compito dell’educazione – evidenzia Bertone, soppesando le parole – «rimane primario e insostituibile il ruolo della famiglia, che nasce e cresce nel rapporto stabile, duraturo e aperto alla vita fra un uomo e una donna». Ma Giovanni Paolo II – sottolinea il cardinale – «più di tutto, però, è stato un uomo di preghiera».

E a questo punto iha inserito le parole sul crocifisso. Nel finale del discorso Bertone ricorda il «ruolo dell’Italia nella storia, alla sua capacità generativa di cultura» e nota «quanto essa abbia attinto a quest’intima unione tra la dimensione verticale verso Dio e l’impeto del servizio al prossimo». «Questo sguardo al trascendente – prosegue il porporato – si rivela necessario anche nel contesto attuale, in cui tante nuove sfide, prima fra tutte la sempre crescente multi-etnicità, multi-culturalità, multi-religiosità, del Paese, si affacciano sul nostro orizzonte». Le ultime parole le ha volute dare a Giovanni Paolo II citando l’invocazione che fece a Montecitorio sette anni fa affinché possa «l’amata Nazione italiana (...) continuare nel presente e nel futuro a vivere secondo la sua luminosa tradizione, sapendo ricavare da essa nuovi e abbondanti frutti di civiltà, per il progresso materiale spirituale del mondo intero».