mercoledì 13 luglio 2011

In stato vegetativo da 5 anni Eppure ascolta. E risponde





«Elettrostimolato», prende il bicchiere, lo porta alla bocca e beve

DAL NOSTRO INVIATO A PADOVA 

LUCIA BELLASPIGA 

C inque anni in 'stato vege­tativo', poi all’improvviso la capacità di eseguire un ordine complesso quale «prendi il bicchiere, portalo alla bocca e poi restituiscilo nelle mani del medico». C’è un video, oggi, a mo­strare quanto è avvenuto due an­ni e mezzo fa durante un esperi­mento condotto in collaborazio­ne tra l’Irccs Fondazione Ospe­dale San Camillo di Venezia, l’U­niversità di Padova e quella di Ve­rona, ma il video non trasmette le emozioni: «Anche un profes­sionista come il sottoscritto è ri­masto a bocca aperta » , testi­monia allora il professor Leon­tino Battistin, direttore scien­tifico dell’Irccs veneziano e della Clinica neurologica pa­dovana, con alle spalle tre lustri nella rianimazione di Padova, ovvero «migliaia di stati vege­tativi passati per le mie mani » . 

Eppure anche lei, che ha av­viato l’esperimento, è rima­

sto senza parole. 

Era un paziente di 70 anni, in quello stato da 5 a causa di una grave emorragia cerebrale. Poche speranze di successo, insomma. 

Era in stato vegetativo? 

Questo è un termine che alla co­munità scientifica piace sempre meno. Ormai preferiamo definir­li tutti 'stati di minima coscien­za', perché an­che nei cosid­detti ultragravi o persistenti la percezione del dolore c’è sem­pre, con una partecipazione emozionale al dolore stesso. Anche se poi è vero che all’esterno non collabo­rano, perché manca il collega­mento tra corteccia cerebrale e talamo.

Nel caso di questo paziente, allo­ra, cos’è successo? 

In letteratura esisteva un tentati­vo di 'risveglio' che in Inghilter­ra aveva dato qualche risultato grazie all’impianto chirurgico di elettrodi nel talamo. A noi venne l’idea di riprovarci con una tecni­ca non invasiva, ossia semplice­mente stimolando il cervello da fuori, appog­giando gli elet­trodi sulla testa del paziente. Questi creano un campo ma­gnetico, che si trasforma in campo elettri­co. Dopo 10 minuti di trat­tamento gli abbiamo impartito l’ordine e lui, sotto i nostri occhi e quelli dei familiari, ha obbedi­to. Poi per sei ore lo ha rifatto o­gni volta che gliel’abbiamo chie­sto. Non solo, nel corso di quelle sei ore l’intera attività elettrica (e ricordo che il cervello 'parla' con l’attività elettrica) è notevolmen­te aumentata: di solito in pazien­ti di quel genere l’elettroencefa­logramma è molto debole, inve­ce in lui si è 'riattivato', coloran­do di rosso tutte le aree della cor­teccia che prima apparivano ver­di. Trascorse sei ore, l’effetto è passato e il paziente è tornato co­me prima. Dopo una settimana abbiamo ripetuto l’esperimento e il risultato è stato identico. Nel­la letteratura mondiale non esi­steva nulla del genere, era la pri­ma volta: la comunità scientifica ci ha fatto le pulci, ma poi il no­stro studio è uscito su 'Neuro­rehabilitation and Neural Repair', organo ufficiale della Federazio­ne mondiale di Neuroriabilita­zione, un fatto di enorme rilievo perché è rarissimo che si pubbli­chi un caso quando è ancora sin­golo. 

Non lo sarà a lungo, si spera. 

Stiamo procedendo su altri tren­ta casi, ma siamo ancora in cor­so d’opera e non ci sbilanciamo fino alla fine, ma siamo fiduciosi: se un uomo di 70 anni e con una gravissima emorragia cerebrale ha risposto co­sì, pazienti di 30 anni e colpi­ti da patologie traumatiche anziché emor­ragiche - ad e­sempio vittime del classico in­cidente d’auto - dovrebbero dare risposte ancora più positive. 

C’è speranza di trarne una tera­pia per i 'risvegli'? 

La neuroriabilitazione è una scienza giovane, fino a 15 anni fa era un settore negletto e questi pazienti erano considerati 'per­si'. Oggi si è capito che un recu­pero della coscienza, almeno par­ziale, è possibile, e il campo del­le stimolazioni elettriche è sem­pre più studiato. Arrivare a una terapia risolutiva è difficile, ma i passi avanti sono notevoli e altri ce ne saranno, perché il cer­vello è ancora un grande mi­stero. Molti dei successi sono dovuti proprio a neuroscien­ziati italiani, specie da quando Rita Levi Montalcini ha dimostrato che le cellule cerebrali si possono rigenerare e con questo ha dato u­na spinta nuova alla ricerca.

Che cosa pensa della legge sulle Dat, a questo punto? 

Per 15 anni sono stato chiamato d’urgenza dai rianimatori che mi chiedevano se 'staccare' la spi­na, e spesso in serenità con i fa­miliari ho preso decisioni contro l’accanimento terapeutico, do­vendo dire «fermiamoci qui». Detto questo, la mia 'mission' di medico mi fa da sempre di­fendere la vita, e decenni di e­sperienza mi dicono che il 'triangolo' paziente, medico, famiglia è il fondamento neces­sario e sufficiente per non ca­dere né nell’abbandono né nel­l’accanimento terapeutico. In­somma, non sarebbe necessa­ria una legge, se l’Italia non fos­se il Paese delle aberrazioni, do­ve dei magistrati possono dire che alimentazione e idratazio­ne sono farmaci e sentenziare per la morte di un disabile. 

Il professor Battistin: «Ora stiamo provando su altri trenta pazienti giovani, siamo fiduciosi» Il tracciato elettrico del cervello si è «riattivato». Nella letteratura mondiale non esisteva nulla del genere