Avete mai sentito qualcuno insultare il prossimo con affermazioni del tipo “Credo che tua madre avrebbe dovuto abortirti”? Eppure molte persone, talvolta anche in certi ambienti che amano definirsi cattolici, quando si parla di aborto, pur manifestandosi apertamente contrari, si tende a cedere alla tentazione buonista di alcuni ‘distinguo’, il più frequente dei quali è quello del caso di violenza carnale.
Tuttavia ad una attenta riflessione non può sfuggire che quando siamo tentati di aggiungere il fatidico “salvo nei casi di stupro”, magari solo per apparire non troppo intransigenti, in realtà è come se stessimo apostrofando una persona desiderando che fosse morta. Oltretutto una persona innocente: è lo stupratore semmai il colpevole, non certo la vittima della violenza e men che meno la persona che ne diviene il frutto, la quale potrebbe dire “oltre il danno, anche la beffa”.
Ebbene una di queste persone, nate da una violenza sessuale, si chiama Rebecca Kiessling, vive negli Stati Uniti, e oltre ad aver dato vita ad una associazione “pro-life” racconta la sua personale esperienza nel suo sito internet. Di seguito vi riportiamo uno stralcio tradotto dalla sua pagina personale.
«Sono stata adottata quasi dalla nascita. A 18 anni, ho compreso di essere stata concepita in seguito ad un brutale stupro con la minaccia di un coltello da uno stupratore incallito. Come la maggior parte delle persone, io non avevo mai considerato che l'aborto potesse essere applicato alla mia vita, ma una volta inquadrata la mia situazione, tutto d'un tratto mi sono resa conto che la questione dell’aborto, non solo si sarebbe potuta applicare alla mia vita, ma ha a che fare con tutta la mia esistenza. Era come se potessi sentire l'eco di tutti coloro che, con il più simpatico di toni, dicono, “Beh, tranne nei casi di stupro. . .”, o che, peggio ancora, esclamano: “… particolarmente nei casi di stupro!”. Tutte queste persone erano là fuori senza neanche conoscermi, ma erano li in piedi ad emettere una rapida e definitiva sentenza sulla mia vita, e tutto ciò solo per il modo con cui la mia vita è stata concepita. Mi sentivo come qualcuno che avesse dovuto giustificarsi per il fatto di esistere, come se avessi dovuto dimostrare al mondo che la mia vita non avrebbe dovuto essere interrotta e che è stata degna di essere vissuta. Ricordo anche di essermi sentita rifiutata come immondizia, perché vi erano persone che paragonavano la mia vita all’ immondizia – Questa era la mia situazione. Vi prego di comprendere che ogni volta che vi identificate come “pro-scelta” (abortisti), oppure ogni volta che fate eccezione per i casi di stupro, e come se veniste davanti a me, guardandomi negli occhi, per dirmi, “Credo che tua madre avrebbe dovuto abortirti”. È veramente una cosa molto forte. Io non direi mai una cosa simile a qualcuno. Mai direi a qualcuno, “Siccome rivoglio la mia vita com’era prima, allora devi morire subito.” Ma questa è la realtà con cui convivo»
Da Facebook gruppo "Io sono contro l'aborto"