Dalle 11 alle 12 diretta Radio Mater dal Centro di aiuto alla vita di Roma: ospite il neonatologo Carlo Bellieni. Conduce: Giorgio Gibertini.
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La vita è la scelta che non si rimpiange mai. Aiutiamo le mamme a scegliere per la vita,offrendo loro assistenza a 360 gradi, prima, durante e dopo il parto. Assistenza concreta anche per il post aborto. Facciamo formazione alla bioetica, educazione alla sessualità ed organizziamo corsi di formazione e di educazione alla vita. Se hai bisogno chiamaci attivi 24 ore su 24 al 0650514441.
martedì 31 agosto 2010
venerdì 27 agosto 2010
L'eroico parto cesareo eseguito a Como
L’«EROICO» PARTO CESAREO ESEGUITO A COMO
Benvenuta al mondo, Marisol figlia dell’amore per la vita
CARLO BELLIENI
È fuori pericolo di vita Marisol, la bambina nata da parto cesareo eseguito sul luogo dell’incidente automobilistico che ha ucciso la sua mamma. La bambina non è semplicemente 'nata in ambulanza', come si legge su qualche giornale, ma la dottoressa del 118 ha eseguito un difficile ed eroico intervento chirurgico d’emergenza, per estrarla quando ormai la mamma stava per morire. La differenza non è da poco, perché non si tratta di un prodigio della tecnica, ma di un prodigio dell’eroismo umano. Perché dal punto di vista giuridico nessuno avrebbe eccepito nulla se la dottoressa arrivata sul posto, dopo aver fatto tutto per salvare la donna, come ha fatto, non fosse intervenuta per far nascere la bambina. Nessuno l’avrebbe accusata, perché non era un chirurgo specialista, e per fare un cesareo bisogna essere veterani del bisturi; e nessuno l’avrebbe incolpata per la morte del feto, perché per lo Stato, fino alla nascita, 'non si esiste' giuridicamente.
Quindi, in una sanità governata dalla medicina difensivistica, nella quale ognuno è portato ad attenersi esclusivamente al suo 'mansionario', pena accuse di vario genere se per la propria iniziativa qualcosa va storto, questa dottoressa è stata una meravigliosa eccezione. Perché rischiando in proprio ha deciso di operare.
Non è normale dunque fare un cesareo in un’ambulanza; ma questa storia ci racconta qualcosa di più, perché l’intervento andava a salvare un bambino che per tutto il mondo (tranne che per suo padre e sua madre) non esisteva. Ma lei ha avuto l’intelligenza clinica di vedere quello che non si vede, cioè il diritto alla vita della piccola Marisol, ancora non nata, ancora 'feto', e portarla alla luce.
Questo è certo un’eccezione: i casi eroici lo sono per definizione; ma in una sanità in cui gli ospedali sono diventati 'aziende', in cui il paziente diventa 'utenza', e il medico diventa un 'operatore sanitario' (una mansione come un’altra evidentemente, dato che esiste anche l’operatore dell’occulto, l’operatore ecologico e via dicendo), ci piace mettere in luce chi prende un’iniziativa per la vita, dato che troppo spesso sentiamo parlare di iniziative su come invece far morire il paziente prima o dopo che sia nato. Pensate invece cosa significa operare, sentendosi addosso una responsabilità positiva, ma anche schiacciante: quanti sarebbero stati pronti ad accusarla se qualcosa non fosse andata nel senso da lei sperato? Eppure si è messa all’opera, come chi si getta nel mare ondoso a salvare una persona che annega e tutti hanno dato per spacciata. E ha salvato Marisol.
Nel panorama mediatico che dedica pagine intere ad ogni supposto errore medico, ignorando invece i rischi, lo stress e le difficili scelte, sarebbe bene che si riprendesse a considerare il medico – come d’altronde chi esercita qualunque professione – come una persona che vive una missione, nonostante possa anche umanamente sbagliare.
Purtroppo oggi si sottolinea solo l’errore, forse perché delusi dalla scoperta della fallibilità del medico, sacralizzato a 'sacerdote laico' in una società che ha perso l’abc del sacro vero, e si censura l’abnegazione che è più diffusa, ma non fa notizia. Sarebbe allora bene che l’impegno della giovane dottoressa Francesca Gatti e della sua Unità Operativa di 118 di Como venissero riconosciuti e premiati pubblicamente. Glielo dobbiamo tutti.
Benvenuta al mondo, Marisol figlia dell’amore per la vita
CARLO BELLIENI
È fuori pericolo di vita Marisol, la bambina nata da parto cesareo eseguito sul luogo dell’incidente automobilistico che ha ucciso la sua mamma. La bambina non è semplicemente 'nata in ambulanza', come si legge su qualche giornale, ma la dottoressa del 118 ha eseguito un difficile ed eroico intervento chirurgico d’emergenza, per estrarla quando ormai la mamma stava per morire. La differenza non è da poco, perché non si tratta di un prodigio della tecnica, ma di un prodigio dell’eroismo umano. Perché dal punto di vista giuridico nessuno avrebbe eccepito nulla se la dottoressa arrivata sul posto, dopo aver fatto tutto per salvare la donna, come ha fatto, non fosse intervenuta per far nascere la bambina. Nessuno l’avrebbe accusata, perché non era un chirurgo specialista, e per fare un cesareo bisogna essere veterani del bisturi; e nessuno l’avrebbe incolpata per la morte del feto, perché per lo Stato, fino alla nascita, 'non si esiste' giuridicamente.
Quindi, in una sanità governata dalla medicina difensivistica, nella quale ognuno è portato ad attenersi esclusivamente al suo 'mansionario', pena accuse di vario genere se per la propria iniziativa qualcosa va storto, questa dottoressa è stata una meravigliosa eccezione. Perché rischiando in proprio ha deciso di operare.
Non è normale dunque fare un cesareo in un’ambulanza; ma questa storia ci racconta qualcosa di più, perché l’intervento andava a salvare un bambino che per tutto il mondo (tranne che per suo padre e sua madre) non esisteva. Ma lei ha avuto l’intelligenza clinica di vedere quello che non si vede, cioè il diritto alla vita della piccola Marisol, ancora non nata, ancora 'feto', e portarla alla luce.
Questo è certo un’eccezione: i casi eroici lo sono per definizione; ma in una sanità in cui gli ospedali sono diventati 'aziende', in cui il paziente diventa 'utenza', e il medico diventa un 'operatore sanitario' (una mansione come un’altra evidentemente, dato che esiste anche l’operatore dell’occulto, l’operatore ecologico e via dicendo), ci piace mettere in luce chi prende un’iniziativa per la vita, dato che troppo spesso sentiamo parlare di iniziative su come invece far morire il paziente prima o dopo che sia nato. Pensate invece cosa significa operare, sentendosi addosso una responsabilità positiva, ma anche schiacciante: quanti sarebbero stati pronti ad accusarla se qualcosa non fosse andata nel senso da lei sperato? Eppure si è messa all’opera, come chi si getta nel mare ondoso a salvare una persona che annega e tutti hanno dato per spacciata. E ha salvato Marisol.
Nel panorama mediatico che dedica pagine intere ad ogni supposto errore medico, ignorando invece i rischi, lo stress e le difficili scelte, sarebbe bene che si riprendesse a considerare il medico – come d’altronde chi esercita qualunque professione – come una persona che vive una missione, nonostante possa anche umanamente sbagliare.
Purtroppo oggi si sottolinea solo l’errore, forse perché delusi dalla scoperta della fallibilità del medico, sacralizzato a 'sacerdote laico' in una società che ha perso l’abc del sacro vero, e si censura l’abnegazione che è più diffusa, ma non fa notizia. Sarebbe allora bene che l’impegno della giovane dottoressa Francesca Gatti e della sua Unità Operativa di 118 di Como venissero riconosciuti e premiati pubblicamente. Glielo dobbiamo tutti.
martedì 24 agosto 2010
da Avvenire
«DAY HOSPITAL IVG, LA MIA PRIMA LINEA PER LA VITA»
Caro direttore, lascio, in questo agosto, i primi due figli dai nonni e rientro a Roma per una visita ecografica di controllo per il terzo figlio in arrivo, a giorni. Ogni momento è buono. Ci segue una ginecologa di un ospedale romano che ci visita presso il reparto 'Day Hospital Ivg Legge 194' dove lei svolge il suo lavoro e la sua discreta, ma molto produttiva, attività per la vita. Ci fa scendere ogni mese quella scaletta dove manca solo la scritta 'Lasciate ogni speranza o voi che entrate' e io e mia moglie ogni volta viviamo il tutto con sofferenza. Però fu lei a dirmi: «Tu che parli tanto di vita, vieni a vedere qual è la prima linea quotidiana». Quotidiana. Qui ogni giorno, in questo ospedale di Roma, almeno 12 aborti. Le madri con la prenotazione 'color blu' entrano poco prima delle 9 ed escono poco prima delle 12. Una tristezza infinita. L’unica pancia che cresce è la nostra. Si è parlato molto in questi giorni, solo su Avvenire, dell’andamento della Legge 194 in Italia ed in Europa. Numeri, sigle, statistiche e percentuali che però non sanno comunicare il volto delle madri in fila, come condannate, sulle scalette che portano ai reparti Ivg dei nostri ospedali. Che fare per offrire loro una possibilità diversa? Nei Centri di aiuto alla vita, quando per vie spesso 'miracolose' vi arrivano, le mamme sono accolte, abbracciate, ascoltate e scelgono sempre per la vita. Ma qui, un gradino dietro l’altro, che possibilità hanno di tornare indietro per guardare avanti? Eppure qualcosa bisogna fare, ognuno nel suo piccolo o grande. La nostra amica ginecologa compie miracoli nell’anonimato e le vorrei dire grazie per tutte le vite che ha salvato anche solo avendo il coraggio di chiedere: «Ma perché lo fai?». Sicuramente si potrebbe cominciare col chiedere uno spazio, tra un gradino e l’altro, per poter dire: prima di arrivare al bivio tra vita e morte ascolta, ascoltati davvero. E questo spazio, nel nostro sistema sanitario nazionale, va riconosciuto e creato.
Giorgio Gibertini
Caro direttore, lascio, in questo agosto, i primi due figli dai nonni e rientro a Roma per una visita ecografica di controllo per il terzo figlio in arrivo, a giorni. Ogni momento è buono. Ci segue una ginecologa di un ospedale romano che ci visita presso il reparto 'Day Hospital Ivg Legge 194' dove lei svolge il suo lavoro e la sua discreta, ma molto produttiva, attività per la vita. Ci fa scendere ogni mese quella scaletta dove manca solo la scritta 'Lasciate ogni speranza o voi che entrate' e io e mia moglie ogni volta viviamo il tutto con sofferenza. Però fu lei a dirmi: «Tu che parli tanto di vita, vieni a vedere qual è la prima linea quotidiana». Quotidiana. Qui ogni giorno, in questo ospedale di Roma, almeno 12 aborti. Le madri con la prenotazione 'color blu' entrano poco prima delle 9 ed escono poco prima delle 12. Una tristezza infinita. L’unica pancia che cresce è la nostra. Si è parlato molto in questi giorni, solo su Avvenire, dell’andamento della Legge 194 in Italia ed in Europa. Numeri, sigle, statistiche e percentuali che però non sanno comunicare il volto delle madri in fila, come condannate, sulle scalette che portano ai reparti Ivg dei nostri ospedali. Che fare per offrire loro una possibilità diversa? Nei Centri di aiuto alla vita, quando per vie spesso 'miracolose' vi arrivano, le mamme sono accolte, abbracciate, ascoltate e scelgono sempre per la vita. Ma qui, un gradino dietro l’altro, che possibilità hanno di tornare indietro per guardare avanti? Eppure qualcosa bisogna fare, ognuno nel suo piccolo o grande. La nostra amica ginecologa compie miracoli nell’anonimato e le vorrei dire grazie per tutte le vite che ha salvato anche solo avendo il coraggio di chiedere: «Ma perché lo fai?». Sicuramente si potrebbe cominciare col chiedere uno spazio, tra un gradino e l’altro, per poter dire: prima di arrivare al bivio tra vita e morte ascolta, ascoltati davvero. E questo spazio, nel nostro sistema sanitario nazionale, va riconosciuto e creato.
Giorgio Gibertini
giovedì 5 agosto 2010
La vita non va in vacanza
La vita non va mai in vacanza.
Prima del bivio tra la vita e l'aborto ci siamo noi
0650514441
Prima del bivio tra la vita e l'aborto ci siamo noi
0650514441
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