La vita è la scelta che non si rimpiange mai. Aiutiamo le mamme a scegliere per la vita,offrendo loro assistenza a 360 gradi, prima, durante e dopo il parto. Assistenza concreta anche per il post aborto. Facciamo formazione alla bioetica, educazione alla sessualità ed organizziamo corsi di formazione e di educazione alla vita. Se hai bisogno chiamaci attivi 24 ore su 24 al 0650514441.
mercoledì 30 dicembre 2009
Propositi di 2010
venerdì 18 dicembre 2009
AUGURI E BUON LAVORO AL NOSTRO VALERIO LATTANZIO – DELEGATO AI RAPPORTI CON LA SANTA SEDE PER “IO AMO L’ITALIA”
COMUNICATO STAMPA
AUGURI E BUON LAVORO AL NOSTRO VALERIO LATTANZIO – DELEGATO AI RAPPORTI CON LA SANTA SEDE PER “IO AMO L’ITALIA”
La direzione nazionale del Movimento politico “Io amo l’Italia” ha comunicato ufficialmente la nomina di Valerio Lattanzio, nostro volontario, a Coordinatore per i rapporti con la Santa Sede per conto del medesimo movimento.
Da un anno il consigliere del Direttivo Valerio Lattanzio ricopre medesimo incarico anche per il nostro Centro di aiuto alla vita.
"Mi congratulo con Valerio – ha dichiarato, appena appresa la notizia, il presidente Gibertini – per il prestigioso incarico di rilievo dentro una formazione politica nazionale così giovane ma così importante. Sono sicuro che Valerio svolgerà ottimamente questo nuovo incarico e sempre col suo stile che è un perfetto insieme di discrezione ed operosità nel silenzio e dietro le quinte"
Il Movimento politico "Io amo l'Italia" ha come leader il parlamentare europeo Magdi Cristiano Allam, premiato dal Centro di aiuto alla vita di Roma, lo scorso 25 maggio, con il premio "Roma è vita".
"Mi congratulo anche con l'amico on. Magdi Cristiano Allam – ha precisato Gibertini – perché con questa scelta testimonia ancor di più concretamente la sua condivisione dei valori che ci uniscono, ovvero la difesa della vita umana dal concepimento a morte naturale"
Valerio Lattanzio ha confermato che rimarrà anche volontario nel Centro di aiuto alla vita di Roma di cui è consigliere del Direttivo da quattro anni e dal 2009 è delegato ai rapporti con la Santa Sede.
"Sono sicuro – ha concluso Gibertini – che Lattanzio sarà una doppia ricchezza sia per il nostro Centro di aiuto alla vita sia per il Movimento Io Amo L'Italia e potrà svolgere la funzione di ponte tra le nostre realtà per promuovere nuove e più incisive politiche per la vita sia a livello europeo, sia a livello nazionale e regionale"
Enzo Di Stasio
Ufficio Stampa Centro di aiuto alla vita di Roma
3356454211
sabato 12 dicembre 2009
FESTA DI NATALE DEL CENTRO DI AIUTO ALLA VITA
sabato 5 dicembre 2009
Giornata di Digiuno e preghiera contro l'aborto
“Nell’aborto chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare”. (Evangelium Vitae, n.58)
“Dobbiamo ancora una volta ribadire che la dimensione giusta è quella della prevenzione non quella di mettere le donne in condizione di abortire e tantomeno di dover attentare alla vita innocente”. (Mons. Rino Fisichella)
_______________________________
Nei giorni luminosi della Nascita del Salvatore, il 28 dicembre la Chiesa ricorda i Santi Innocenti uccisi dall’odio di Erode, noi membri dell’Apostolato “Giovani Per La Vita” invitiamo tutti coloro che credono nel valore del dono della Vita a una giornata di digiuno e preghiera in difesa della vita.
_______________________________
“E’ un servizio d’amore quello che tutti siamo impegnati ad assicurare al nostro prossimo, perché la sua vita sia difesa e promossa sempre, ma soprattutto quando è più debole e minacciata” (Evangelium Vitae, n.77)http://www.facebook.com/groups.php#/event.php?eid=333488450031&ref=mf
mercoledì 2 dicembre 2009
"Il mio dramma con la Ru486: stavo morendo, ho perso tutto!" - invito alla lettura su Avvenire di oggi
Stavo morendo, ho perso tutto»
«Ero partita dall’Università della Calabria per il "Progetto Erasmus" – racconta incontrandoci sul Ponte Pietro Bucci dell’ateneo, i segni di una sofferenza indelebile sul volto e nel tremore della voce –. Studiavo e tuttora studio a Cosenza, allora ero una ragazza felice e piena di propositi per il futuro, anche perché presto ho conosciuto il mio fidanzato, con cui poi sarei partita per Barcellona...». Gli occhi neri si muovono rapidi e insicuri, offuscati da un’ombra di dolore, ciò che resta del suo viaggio in quello che lei chiama «il tunnel oscuro» e dal quale ancora non sa uscire.
La sua storia è di quelle che iniziano fin troppo bene, con un bando proposto agli studenti più meritevoli per uno scambio culturale e formativo in una delle città europee, il brillante superamento della selezione assieme al fidanzato (che chiameremo Roberto), e la partenza per la metropoli catalana. «Doveva essere un’esperienza indimenticabile», ricorda senza sorridere. Anna, che nel suo soggiorno spagnolo condivide l’alloggio con due compagne straniere, un giorno si accorge, calendario alla mano, che i conti non tornano: «All’inizio pensavo che il mio ritardo derivasse da alcuni antibiotici che avevo assunto per una brutta influenza – prosegue –, poi cominciai a temere di essere rimasta incinta e in una farmacia del centro comprai il test di gravidanza». La vita di suo figlio, annunciata in quel bagno, le cadde addosso come la peggiore delle notizie. «Lo dissi a Roberto e sperammo entrambi in un errore, ma anche il secondo test diede lo stesso risultato. Da allora litigammo furiosamente...».
La vita di Anna iniziava a frantumarsi, e il primo pezzo che se ne andava era proprio l’amore: da una parte c’era Roberto, deciso a tenere quel figlio e a prendersi le sue responsabilità di padre nonostante i suoi 24 anni e la mancanza di un lavoro, dall’altra le paure della giovane, il timore dei genitori, il terrore della solitudine. E sola rimane davvero, Anna, accompagnata da un’amica spagnola nella struttura sanitaria in cui i medici le spiegano che «la Spagna è molto più avanti dell’Italia e qui c’è la libertà di abortire con semplicità». Sola è anche quando i camici bianchi le raccontano che non avrà alcun problema, che «basterà assumere due pillole, una per bloccare la gravidanza e l’altra per espellere il feto, niente di complicato, al massimo quel piccolo fastidio come nelle giornate del ciclo...». Sola quando imbocca il tunnel senza nemmeno far sapere a Roberto che tra poche ore non sarà più padre.
Un mare di carte da compilare per dichiarare che era stata informata di tutte le conseguenze cui andava incontro, un colloquio frettoloso con un’assistente sociale, una prescrizione medica e giù le pillole. «Eravamo in tante - ricorda tormentandosi per tutte - e ci chiamavano per nome e cognome, senza alcun rispetto della privacy. Quando toccò a me, nessuno in realtà mi disse nulla del pericolo cui andavo incontro, così firmai e presi la prima pillola, che poi scoprii chiamarsi Mifeprex. Due giorni dopo ritornai in ospedale, come mi aveva detto il medico, e presi l’altra pillola, il Misoprostol. È stato tutto molto facile». Facile come bere quel bicchier d’acqua con cui le manda giù.
Ma il dramma deve solo cominciare. «La mattina seguente ero sola in appartamento, le mie due amiche erano uscite, il mio fidanzato neanche sapeva che stavo già mettendo in pratica il mio intento abortivo. Iniziai ad avere dolori lancinanti all’addome, a fare avanti e indietro dal bagno con una diarrea incontrollabile e una nausea terribile. Pensavo di morire. Caddi in uno stato di semi incoscienza e dopo alcune ore mi svegliai in un bagno di sangue. L’emorragia era inarrestabile, continuavo a perdere sangue, sentivo la vita uscire dal mio corpo, non ero mai stata tanto male. Chiamai aiuto e tornai in ospedale, dove mi fecero una nuova ecografia ed ebbi la notizia che l’aborto era avvenuto "con successo". In realtà lì si celebrò il cuore vero del mio dramma. Le mie convinzioni ad una ad una sono tutte crollate, sono caduta in uno stato di depressione terribile, piango sempre e fatico a riprendere forza. Ora mi sento in colpa verso il mio fidanzato, che peraltro ho anche perso, e soprattutto verso quella creatura. Devo cominciare a ricostruire tutta la mia vita, ma so che questo ricordo non mi abbandonerà».
Era una ragazza come tante, Anna, con quella voglia di vivere a volte irrefrenabile, quella convinzione di avere il mondo in tasca e le certezze nel cuore, decisa a fare di testa sua. «Anche in quell’occasione pensavo di aver scelto la via facile, così sui giornali ti presentano la Ru486, credevo fosse una conquista della scienza, invece la mia vita è finita con quella pillola, che ti dà l’illusione di non abortire mentre in realtà rischia di uccidere te oltre a tuo figlio...».
Ce la farà, Anna, la sua rinascita comincia da qui, dal desiderio di raccontare la sua storia, rimasta sconosciuta anche ai genitori: «Non voglio che altre ragazze imbocchino la mia strada, devono sapere a cosa si va incontro. Vorrei dire solo questo: attente alle false libertà e soprattutto non decidete da sole, la vita, sin dal suo sbocciare, anche nel dramma si può trasformare in un dono. Io me ne sono accorta troppo tardi, ma per voi c’è ancora tempo».
martedì 17 novembre 2009
Bertone: difendere sempre la cultura della vita
ROMA. « In alcuni Paesi ci sono leggi con le quali viene riconosciuta piena legittimità a comportamenti contrari alla vita, anche in contrasto con i principi costituzionali » . Lo ha affermato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone nell’omelia della Messa celebrata in occasione del Consiglio nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani ( Amci). « Siamo in un’epoca in cui per la gente comune - ha rilevato il porporato nella celebrazione di venerdì scorso in Vaticano - è talvolta difficile discernere tra la cultura della vita e quella della morte. Parte dell’opinione pubblica giustifica infatti dei delitti contro la vita in nome della libertà individuale » . Insomma: « La stessa medicina, che per sua natura deve tendere alla difesa e alla cura della vita umana, in alcuni suoi settori si presta sempre più a realizzare atti contro la persona. In tal modo contraddice se stessa e rischia di oscurare la dignità di quanti la esercitano » . « Tutto ciò - ha avvertito il cardinale - fa emergere l’urgenza di educare alla cultura della vita. Da una parte, infatti, si assiste all’eliminazione di vite umane nascenti o sulla via del tramonto; dall’altra, la coscienza fa fatica sempre più a distinguere il bene dal male in ciò che tocca lo stesso fondamentale valore della vita umana » .
Bertone ha auspicato « un risveglio delle coscienze » in una società dove la « cronaca quotidiana ci fa toccare con mano quanto la vita umana sembri a volte aver perso valore: quante giovani vite spezzate nel traffico, sul lavoro, nell’abuso dell’alcool e nel ricorso alla droga » . « Ma vi sono - ha aggiunto anche le creature soppresse in ambiti di vita che fanno meno notizia: ricordiamo in particolare l’aborto » . O le « centinaia di milioni di persone » che muoiono per la « fame » o le « malattie » . « Ci sono vite - ha ammesso Bertone - che non fanno notizia e la cui perdita non genera sussulto; ci sono battaglie sacrosante per salvare la vita di chi è condannato alla pena di morte e per salvaguardare il diritto alla vita anche di chi ha commesso gravi delitti, mentre si ritiene legale e giusta la morte di innocenti con leggi approvate a maggioranza da Parlamenti civili » . ( Gia. Card.)
Ai medici cattolici: parte dell’opinione pubblica giustifica delitti in nome della libertà individuale Ci sono esistenze che non fanno notizia
da http://www.avvenire.it/
venerdì 13 novembre 2009
BERTONE: LO STATO RISPETTI IL DIRITTO ALLA VITA
Il più stretto collaboratore di Benedetto XVI approfitta dell’occasione, infatti, per ricordare come Giovanni Paolo II, di cui cita l’enciclica Evangelium Vitae, «attraverso la sua sofferenza fisica ci ha richiamato il valore del Vangelo della Vita che impegna tutti, singoli, famiglie, associazioni e Istituzioni, ad adoperarsi 'affinché le leggi dello Stato non ledano in nessun modo il diritto alla vita', anzi promuovano 'la difesa dei diritti fondamentali della persona umana, specialmente di quella più debole', sia essa embrionale o morente». «Indubbiamente – ribadisce Bertone –, come il Pontefice ricordava proprio nell’Aula di Montecitorio, questi valori appartengono alla radice più profonda della tradizione e della cultura del Popolo italiano». Il porporato quindi rimarca che Giovanni Paolo II ha dimostrato anche di avere doti di «grande comunicatore, capace di dialogare in modo autentico e proficuo con i tanti interlocutori», ma tuttavia «ha sempre inteso affermare che alla base di ogni vero dialogo deve regnare l’amore per la verità».
Riprendendo il discorso pronunciato a Montecitorio nel 2002, Bertone ricorda che Giovanni Paolo II, «motivato dal profondo amore per la Nazione italiana», ha «voluto mettere in guardia dal rischio dell’alleanza fra democrazia e relativismo etico». «Forte di tale convinzione – ribadisce il Segretario di Stato –, la Chiesa considera perciò suo dovere intervenire sui temi che riguardano da vicino la crescita e lo sviluppo dell’uomo. Questo contributo non inficia, ma anzi arricchisce il principio di una 'sana laicità', perché si sforza di fornire un apporto originale alla costruzione del bene comune». E la locuzione 'sana laicità' è quella usata da Benedetto XVI nel 2006 al Convegno nazionale dei giuristi cattolici. Bertone illustra quindi la «passione per l’uomo, profondamente cristiana e sanamente laica» che ha spinto Giovanni Paolo II a raggiungere «ogni angolo della terra». E poi il rapporto di papa Wojtyla con i giovani a cui «ha anche mostrato il valore fondamentale dell’educazione per la costruzione della società». E nel compito dell’educazione – evidenzia Bertone, soppesando le parole – «rimane primario e insostituibile il ruolo della famiglia, che nasce e cresce nel rapporto stabile, duraturo e aperto alla vita fra un uomo e una donna». Ma Giovanni Paolo II – sottolinea il cardinale – «più di tutto, però, è stato un uomo di preghiera».
E a questo punto iha inserito le parole sul crocifisso. Nel finale del discorso Bertone ricorda il «ruolo dell’Italia nella storia, alla sua capacità generativa di cultura» e nota «quanto essa abbia attinto a quest’intima unione tra la dimensione verticale verso Dio e l’impeto del servizio al prossimo». «Questo sguardo al trascendente – prosegue il porporato – si rivela necessario anche nel contesto attuale, in cui tante nuove sfide, prima fra tutte la sempre crescente multi-etnicità, multi-culturalità, multi-religiosità, del Paese, si affacciano sul nostro orizzonte». Le ultime parole le ha volute dare a Giovanni Paolo II citando l’invocazione che fece a Montecitorio sette anni fa affinché possa «l’amata Nazione italiana (...) continuare nel presente e nel futuro a vivere secondo la sua luminosa tradizione, sapendo ricavare da essa nuovi e abbondanti frutti di civiltà, per il progresso materiale spirituale del mondo intero».
La strategia 'giudiziaria' (far fuori una legge sgradita a colpi di sentenze) si combina con la strategia 'mediatica' (imporre all’opinione pubblica un caso a forte valenza emotiva, puntando sullo sconcerto e la malintesa pietà) e con quella 'culturale' (far digerire uno strappo etico mostrandolo come ragionevole e persino desiderabile).
Nei fatti di questi giorni c’è il convergere dei tre fronti. La legge 40 è di nuovo nel mirino di una corte, dopo l’ennesimo ricorso. I malati di Sla che hanno inscenato uno sciopero della fame – sospeso ieri – sono a rischio di strumentalizzazione da parte dei soliti radicali. E la Ru486 sta per entrare negli ospedali come una forma di pretesa 'libertà'. Essere consapevoli di queste tre forze in gioco è la condizione per capire che è l’ora di impegnarsi. www.avvenire.it
da Avvenire
giovedì 12 novembre 2009
IL PAPA E LE NUOVE TECNOLOGIE
Celli al tg di Italia 1: "Certo non riesce a rispondere ai milioni di messaggi che arrivano nella sua casella ma di sicuro offre le sue preghiere per tutti quelli che gli scrivono". La notizia arriva nel giorno in cui in Vaticano partono dei corsi su Facebook e sul principale sito di condivisione video per i vescovi europei: "Internet - ha concluso il presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali - e' un mezzo eccellente di comunicazione. Cerchiamo di esser presenti dove la gente, soprattutto i giovani, si raduna". (AGI) Vic 121319 NOV 09
martedì 10 novembre 2009
lunedì 9 novembre 2009
VENTI DI LIBERTA': GRAZIE GIOVANNI PAOLO II
Picconate, calci, martellate... e ragazzi giovani e donne di ogni età che accorrevano per il primo abbraccio.
Noi, lontani, a vivere tutto in televisione. Quanti ricordi abbiamo e come eravamo consapevoli di essere anche noi parte di quelle righe che saranno scritte per sempre nella Storia.
Ma come mai nessuno oggi ricorda il ruolo fondamentale svolto da Giovanni Paolo II che, in primis, ha aiutato ad abbattere il muro culturale, politico e sociale che divideva la nostra Europa?
Prima del muro di pietra fu il Papa a preparare la strada a tutto questo e ad andare oltre quel muro e non solo quel muro.
Grazie Giovanni Paolo II il vero uomo della libertà, della riconciliazione, della riunificazione e della verità.
mercoledì 4 novembre 2009
STASERA APPORREMO IL CROCIFISSO ALL’ESTERNO DELLA SEDE DEL CAV DI ROMA
Sull’argomento è intervenuto anche Valerio Lattanzio, stretto collaboratore di Gibertini, nostro consigliere del Direttivo e delegato ai rapporti con la Santa Sede.“Faccio mia l’esortazione del Cardinale Walter Kasper presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei Cristiani– ha spiegato Lattanzio – e voglio, come cristiano, svegliarmi ed alzare la voce. Ho suggerito a Gibertini stasera, a margine del nostro Consiglio Direttivo, di spostare il Crocifisso sulla porta di ingresso della sede del Centro di aiuto alla vita di Roma e così faremo.“E’ inutile negare – ha terminato Lattanzio - che si viaggia dalla Spagna all'Estonia e fino a Mosca, dappertutto si trova la Croce: dice la nostra cultura, è l'eredità comune che ha unito il continente, non si possono negare così le proprie radici". Togliere il crocifisso dalle aule è una violazione del sentire della maggioranza: i cristiani sono e restano la gran parte, soprattutto in Italia, e la maggioranza non può essere orientata dalla minoranza”.
lunedì 2 novembre 2009
giovedì 22 ottobre 2009
RECENSIONE DEL NEONATOLOGO BELLIENI SUL FILM DELLA COMENCINI PREMIATO DAL MOVIMENTO PER LA VITA ITALIANO
La protagonista non è aiutata da nessuno a vivere una vita affettiva e sociale e tantomeno a elaborare lo shock della nascita prematura: la donna è obbligata ad elaborare da sé il lutto della “perdita” legata alla nascita prematura, e passa - ottima l’idea della regista di rappresentare le prime tre fasi del classico lutto - dalla negazione alla rabbia, quindi alla fase di contrattazione.
Dunque più che un inno alla maternità ci sembra un appassionato grido di solitudine. Soprattutto perché il grande assente - oltre al padre vile che fugge - è proprio la figlia. Già, la bambina non si vede mai nel film, se non di sfuggita, non interagisce, non viene accudita, non si muove.
Eppure la moderna medicina (e il senso di affetto di ogni madre) capisce bene che già nei piccolissimi prematuri è presente la capacità di interazione, e che già i prematuri sono “psicobiologicamente sociali”, come dice Heidi Als, icona della psicologia neonatale. E che questa capacità può essere utilizzata proprio per curarli al meglio in un lavoro che ha al centro proprio il bimbo e la sua famiglia.
La bimba del film non riceve nemmeno il nome dalla madre, se non dopo la sollecitazione del medico. Invece Irene è là, respira, reagisce, guarda, ma la madre non sembra sentirla come una “neo-nata”, ma come un’estranea, una sua appendice forse, ma non come una compagna, una bambina, una figlia: la bimba è assente nel vissuto della madre, segno di una sua “assenza” psicologica - pur comprensibilissima - che attende un aiuto esterno che non arriva.
Arriva invece l’inquietante figura del neonatologo con cui la donna finisce a letto. Credo di sentire la condanna ferma che sale da tutti gli spettatori: nessun medico può impunemente approfittare di una donna in evidente stato di prostrazione, tanto più se madre di una paziente. Ma dalla donna nessuna reazione di dispetto, come se non si rendesse conto dell’improprietà dell’evento, altro evidente segno di un suo proprio disagio.
Ma pur nella tristezza di questo grido di solitudine, ci piace finalmente sentir parlare di un tema “eticamente sensibile” senza l’unica, inevitabile, indomabile, ripetuta discussione: su chi e come far vivere, su quando la vita sia “degna di essere vissuta” eccetera. Perché oggi la discussione sui temi della vita si è ridotta proprio a questo: chi vive e chi è meglio che non viva. Basta. Mai che si parli di come far vivere meglio, di come accompagnare, accettare, amare, ricordare, soccorrere.
L’etica di oggi è l’etica della fuga, di quando si sente qualcosa come un ostacolo o come superfluo e si cercano le vie per aggirare il primo o per “scaricare” il secondo. Invece questo film non parla di morte, ma di un dramma che nessuno aiuta a superare. Ma è un film che per questo diventa necessario: affronta la realtà psicologica dura - fortunatamente questo è un caso estremo - per invitare lo spettatore a non finirvi dentro, a cambiarla.
Non ci racconta una storia di coraggio, ma di tristezza, che è la tristezza della solitudine, in cui qualcuno si approfitta di te, in cui ti senti come in una bolla di sapone, isolato dal mondo, contro cui reagisci male, ti senti aggredito, ti isoli e ti disperi in silenzio; in cui non riesci nemmeno a riconoscere tuo figlio e in cui non si diventa mai madri/padri. E dunque non è una storia pro-life, ma about-life, cioè racconta quello che potremmo tutti essere quando restassimo tristi e soprattutto soli. E ci fa parlare di un tema etico nuovo per i media, finalmente.
Ma lo “spazio bianco” nella realtà non è vuoto: può essere colmato e in molti lavoriamo per questo (o almeno tentiamo), anche se abbiamo sempre in agguato il tarlo dell’indifferenza. Si colma quando la madre (e il padre) parla con le infermiere di come il bambino ha passato la notte, si colma quando sente per la prima volta il medico che lo chiama per nome e vede che lo accarezza, e impara ad accarezzarlo a sua volta, anche se è così fragile, e lei è piena di sensi di colpa o di ansia o di paura; si colma in un percorso condiviso.
Ho recentemente scritto che il dolore del bambino si cura curando prima quello del genitore e perfino quello (stress, burn-out, senso di impotenza) del personale sanitario che assiste il piccolo; ed è un percorso virtuoso possibile e fruttuoso che vuole considerare il disagio in tutte le sue sfaccettature e non vuole ridurre l’assistenza a una fredda “offerta di servizi”. Lo “spazio bianco” è colmato dal riconoscere il reale: l’umanità del figlio, quella di un amico che nella tristezza resta vicino, la riscoperta della propria umanità quando il dolore bussa alla porta.
Ma lo “spazio bianco” non finisce sempre col lieto fine. Già, perché per alcuni lo “spazio bianco” finisce con una malattia cronica, con una disabilità. Ma per chi ha appreso a colmare lo “spazio bianco” legandosi con forza alle poche persone importanti della vita, apprendendo a chiamare per nome il piccolo neonato, può essere un sentiero meno irto e duro.
Speriamo che il prossimo bel film sia su queste persone che soffrono per una malattia e lentamente apprendono - come avviene per tanti malati cronici e per le loro famiglie - che la malattia è un colpo terribile, ma non è la fine della vita: ce ne sono tanti di genitori così, che chiedono più attenzione da parte della Società, che per pudore reclamano solo sommessamente, ma che meritano i titoli in prima pagina, magari al posto di tanto gossip o tanta propaganda dell’etica della fuga.
------------------------------------------------------------------Carlo Valerio Bellieni
Ancor di più ora domandiamo: era necessario premiare il film?
Ancor di più ci dissociamo!
Giorgio Gibertini
martedì 20 ottobre 2009
LETTERA SU AVVENIRE DEL 20 OTTOBRE 2009
Giorgio Gibertini
lunedì 19 ottobre 2009
ru 486: fermiamo l'aborto domestico e clandestino
COMUNICATO STAMPA
OGGETTO: RU486. METTIAMO MANO ALLA LEGGE 194 PER FERMARE L’ABORTO CASALINGO E CLANDESTINO
“E’ tempo di mettere mano alla Legge 194/78 – ha dichiarato il presidente Gibertini – per fermare questa deriva relativista dell’aborto casalingo con pillola RU486.”
Il Centro aiuto alla vita di Roma si riunirà domani sera in seduta straordinaria, alla presenza anche del consigliere amico on. Antonio Palmieri, anche per decidere le prossime iniziative da intraprendere per contrastare la diffusione della Ru486 in Italia
“Non tutto è perduto – ha dichiarato ancora Gibertini - anche se la decisione di oggi dell’Aifa è tanto scontata quanto deludente. Dobbiamo chiamare ad uno ad uno i deputati e senatori per chiedere loro di fermare la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della determina e delle specifiche tecniche di somministrazione del farmaco. La smettano di prenderci in giro. Tutti sappiamo, anche perché così è successo nel mondo e così è successo in Italia nelle varie sperimentazioni, che le madri saranno invitate a firmare il foglio di dimissioni e se ne andranno ad abortire da sole a casa raggirando la stessa legge 194 voluta da chi oggi vuole l’aborto clandestino mentre allora, nel 78, voleva socializzare il fenomeno. Vogliono cambiare la Legge? Siamo disponibili, basta che non la si cambi solo per favorire sempre di più l’aborto!”
Il presidente dell’Aifa, in una intervista, ha dichiarato, entusiasticamente che il costo delle tre pastiglie sarà, in via del tutto eccezionale per l’Italia di solo 99 euro!
“Questo linguaggio che sempre indora la pillola – ha terminato Gibertini – è un viatico all’aborto per diritto e per cultura. Passare come un successo commerciale che si sia riusciti a tenere sotto i cento euro il costo dell’aborto chimico è ancor peggio dell’aborto stesso. Dire trionfalmente che in Italia sarà vietato somministrare la pillola dopo la settima settimana non cambia la realtà dei fatti, ovvero che viene ucciso il bambino in grembo, ancor se piccolo, per meno di cento euro!”
Anche Valerio Lattanzio, delegato ai rapporti con la Santa Sede, è intervenuto sul tema: “Dobbiamo raggiungere anche i parlamentari europei a noi vicini. Non ci può venire detto (dal direttore dell’Aifa), con tono rassegnato, che in Italia abbiamo dovuto sottostare alla procedura europea di mutuo riconoscimento e quindi approvare la diffusione della Ru486
Sempre Lattanzio: “Basta con l’ipocrisia del fare passi indietro, delle zone grigie di ripensamento, dell’astenersi da battaglie ideologiche: sempre noi pro life dobbiamo fare passi indietro? Se i pro aborto non faranno loro passi indietro, li costringeremo a farli.”
Infine Lattanzio ha concluso invitando i politici cattolici ad una mobilitazione generale “Vedo troppi politici cattolici che dormono, è finita la ricreazione, non la sentite la campanella? Stiamo assistendo ad un colpo di mano per andare oltre alla Legge 194 per far diventare l’aborto competenza delle farmacie e quindi “facile” come ingerire una pillola. Per il momento appelliamoci alla Legge 194 per fermare la Ru486 ma puntiamo alla soppressione di qualsiasi legge e cultura abortista altrimenti saremo spazzati via da quest’ondata relativista”
Francesca Siena
Centro di Aiuto alla Vita di Roma
Ufficio Stampa
Via Salvatore Quasimodo 113B - 00144 Roma
stampa@cavroma.org - www.cavroma.org
lunedì 12 ottobre 2009
CI DISSOCIAMO
CI DISSOCIAMO DAL PREMIO DEL MOVIMENTO PER LA VITA ALLA REGISTA COMENCINI
Egregio Direttore,
a scriverle siamo tanti volontari del Movimento per la vita italiano, alcuni sono anche presidenti dei numerosi centri sparsi in tutta Italia.
Abbiamo appreso dai giornali che il presidente nazionale, Carlo Casini, parlamentare europeo dell’UDC, ha deciso, di concerto con chi non sappiamo, di premiare il film “Lo spazio bianco” di Francesca Comencini con il premio intestato a Gianni Astrei, nostro volontario scomparso drammaticamente qualche mese fa, pediatra, sposo e padre di famiglia ed anche autore di numerosi testi sulla bellezza dell’essere padre e madri e quindi di avere una famiglia.
La Comencini, a margine del premio ha dichiarato: “ il mio film è un film su una scelta, una scelta come lo è anche l’aborto, una cosa alla quale sono favorevole e sulla quale in generale non credo si possa avere una posizione assoluta, ma solo rispettare il dolore di chi decide di compiere un tale percorso. Credo inoltre che una madre e un figlio costituiscano da soli una famiglia, così come credo che una famiglia allargata sia una famiglia. I figli cresciuti in ambienti simili non sono rovinati e non crescono come orfani come recentemente ho sentito dire dal Papa a Praga. Io cresco da sola 3 figli, avuti con due uomini diversi, e nessuno di loro è rovinato, né abbandonato, né tantomeno orfano”.
Saranno questi i motivi per cui il Nazionale ha deciso di dare il premio alla Comencini?
CHIEDIAMO AL PRESIDENTE DEL MPV DI SPIEGARCI PERCHE’, PUR SAPENDO COME LA PENSA LA REGISTA, NON ABBIA PREMIATO SOLO IL FILM SENZA DARE RIBALTA ALLE IDEE ABORTISTE DELLA COMENCINI ED EVITANDO COSI’ DI CONFONDERE L’OPINIONE PUBBLICA SULLE POSIZIONI DEL MPV E DEI CAV.
La ricerca ossessiva di testimonial per la vita deve essere fatta con più attenzione, non può produrre tali errori altrimenti meglio rimanere da soli a “combattere”.
Speriamo che da “Lo spazio bianco” il presidente Casini non finisca nella “zona grigia” di attesa sui temi della vita che oggi sembra così tanto di moda e speriamo che POSSA CHIARIRE QUANTO E’ AVVENUTO E INFORMARE I PRESIDENTI DEI MPV E DEI CAV PRIMA DI CONSEGNARE PREMI PRO-LIFE A PERSONE DICHIARATAMENTE PRO ABORTO.
Giorgio Gibertini presidente Centro di aiuto alla vita di Roma
Lucia Galvani presidente Mpv Bologna
Luca Semprini, presidente Mpv Montefeltro
Valerio Lattanzio, delegato ai rapporti con la Santa Sede Cav di Roma
Miranda Lucchini, vice presidente Centro di aiuto alla vita di Roma
Daniele Venturi presidente Nazionale dei Papaboys
Enzo Di Stasio presidente ALCI
Chiara Maffioli volontaria Mpv
Daniele Gamberini, Mpv Cagliari
Alberto Lai, Mpv Cagliari
Stefano Savoldi, volontario Mpv
Roberto Corsi, giornalista e scrittore
Francesca Cortesi, counsellor
Domenico Di Cresce,
CARO MOVIMENTO PER LA VITA ERA PROPRIO IL CASO DI PREMIARE LA COMENCINI?
''Sapevamo che le posizioni della Comencini, sono profondamente distanti dalle nostre» ha commentato Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, durante la cerimonia «ma non abbiamo esitato ad assegnarle il Premio proprio perche' abbiamo colto nel suo film una sensibilita' nell'affrontare i temi della vita e della maternita' che va oltre e prescinde dalle posizioni ideologiche. Da sempre siamo convinti che la donna e' la vera ''guardiana della vita'' come ha detto la Comencini, ed e' a lei, alla sua capacita' di accoglienza, alla sua liberta' che si rivolgono innanzitutto i nostri Centri di aiuto alla vita che proprio grazie a questa alleanza con la donna hanno potuto finora salvare oltre 100mila bambini gia' condannati all'aborto. ''Siamo convinti» ha concluso Casini «che la visione di questo film potra' contribuire a sottrarre all'aborto tantissimi bambini e le loro madri che sono anch'esse vittime di quella negazione della vita''.
La regista ha voluto subito sottolineare la sua distanza da chi ha voluto leggere nel suo film un inno al femminismo o, come ha fatto il movimento Pro-Life (che al film ha consegnato un premio speciale), vedervi l’esaltazione dei valori della vita e della famiglia. La Comencini ha infatti dichiarato di non gradire tali posizioni: “Il mio film è un film su una scelta, una scelta come lo è anche l’aborto, una cosa alla quale sono favorevole e sulla quale in generale non credo si possa avere una posizione assoluta, ma solo rispettare il dolore di chi decide di compiere un tale percorso. Credo inoltre che una madre e un figlio costituiscano da soli una famiglia, così come credo che una famiglia allargata sia una famiglia. I figli cresciuti in ambienti simili non sono rovinati e non crescono come orfani come recentemente ho sentito dire dal Papa a Praga. Io cresco da sola 3 figli, avuti con due uomini diversi, e nessuno di loro è rovinato, né abbandonato, né tantomeno orfano”.
venerdì 9 ottobre 2009
AUGURI A BARACK OBAMA PREMIO NOBEL PER LA PACE 2009 MA CON L’ABORTO COME LA METTIAMO?
COMUNICATO STAMPA
OGGETTO: AUGURI A BARACK OBAMA PREMIO NOBEL PER LA PACE 2009 MA CON L’ABORTO COME LA METTIAMO?
Madre Teresa di Calcutta, ritirando il premio nobel per la Pace nel 1979, disse:
"Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l'aborto, perchè è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa. [...] Perchè se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c'è più niente che impedisce a me di uccidere te, e a te di uccidere me"
Questo assioma ha bisogno di altre spiegazioni?
“Come presidente del Centro di aiuto alla vita di Roma – ha dichiarato Gibertini Giorgio - nell'inviare il nostro augurio al neo premio Nobel Barack Obama, mi sento in dovere di ricordargli che l'aborto è l'origine di tutti i mali e quindi non può esserci pace nel mondo se non c'è pace nel grembo materno. Avrei voluto che anche i membri del Comitato tenessero conto di questa inconfutabile verità ma siamo costretti ad attendere fiduciosi che queste intelligenze mondiali siano illuminate in futuro.”
“Speriamo presto in una moratoria mondiale sull'aborto – ha concluso Gibertini - ed in un premio Nobel per la Pace per chi l'ha proposta e per chi la sostiene, quotidianamente, aiutando le mamme, in ogni angolo del mondo, a scegliere per la vita, la loro e quella dei loro figli.”
Sull’argomento è intervenuto anche Valerio Lattanzio, stretto collaboratore di Gibertini, nostro consigliere del Direttivo e delegato ai rapporti con la Santa Sede.
“Esprimo il mio e nostro sostegno al cardinal Daniel Di Nardo (arcivescovo di Galveston-Houston) – ha spiegato Lattanzio – che all'inaugurazione dell'anno giudiziario americano ha ricordato ai giudici ed agli avvocati americani che tra i diritti da proteggere vi sono il diritto alla vita che sempre più spesso viene negato a molti bimbi con l'aborto. Forti le sue parole quando si chiede ai presenti "come oserete ricevere la Comunione con il sangue dei bambini non nati sulle vostre mani.". Si auspica presa di coscienza anche per gli avvocati ed i giudici italiani che si prodigano a salvaguardare i diritti dei cittadini; anche di coloro che sono i più indifesi: i bimbi che devono nascere.”
AUGURI AD OBAMA MA DEI BAMBINI NON NATI?
Madre Teresa di Calcutta, ritirando il premio nobel per la Pace nel 1979, disse:
"Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l'aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa. [...] Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c'è più niente che impedisce a me di uccidere te, e a te di uccidere me"
Questo assioma ha bisogno di altre spiegazioni?
Come presidente del Centro di aiuto alla vita, nell'inviare il nostro augurio al neo premio Nobel Barack Obama, mi sento in dovere di ricordargli che l'aborto è l'origine di tutti i mali e quindi non può esserci pace nel mondo se non c'è pace nel grembo materno.
Avrei voluto che anche i membri del Comitato tenessero conto di questa inconfutabile verità ma siamo costretti ad attendere fiduciosi che queste intelligenze mondiali siano illuminate in futuro.
Speriamo presto in una moratoria mondiale sull'aborto ed in un premio Nobel per la Pace per chi l'ha proposta e per chi la sostiene, quotidianamente, aiutando le mamme, in ogni angolo del mondo, a scegliere per la vita, la loro e quella dei loro figli.
mercoledì 7 ottobre 2009
42 MILIONI DI ABORTI AL MONDO: UNA SPAGNA ALL'ANNO CHE NON C'E' PIU'
42 MILIONI DI ABORTI AL MONDO: UNA SPAGNA ALL'ANNO CHE NON C'E' PIU
Non c'è più la Spagna, quest'anno, abortita via dall'egoismo umano e da finte politiche di sviluppo delle popolazioni africane.
I dati diffusi al Congresso Mondiale della Federazione Internazionale di Ginecologia ed Ostetricia (FIGO) in corso a Città del Capo non sono, come ribattono alcune agenzie di stampa, "allarmanti" ma oserei dire "agghiaccianti".
42 milioni di aborti al mondo equivalgono ad una cartina dell'Europa con un buco nero al posto della Spagna.
42 milioni di aborti al mondo equivalgono ad un aborto ogni 75 secondi: il tempo di questo comunicato stampa e quanti altri bambini saranno stati uccisi?
Sconvolge ancor di più il fatto che venga confermato come la pratica dell'aborto nel mondo continua ad aumentare e quasi la metà di questi aborti, circa venti milioni, siano considerati a rischio per le condizioni sanitarie in cui si svolgono: 66.500 madri ogni anno muoiono a seguito dell'aborto nei paesi in via di sviluppo.
E si continua a parlare di politiche per la famiglia e per la vita? Ed in Italia sarà presto approvata e commercializzata la RU486 invece di investire denaro, tempo, risorse, ingegno per aiutare la vita a nascere, per aiutare le madri a scegliere per la vita, per aiutare le popolazioni dell'Africa non a perfezionare le tecniche di aborto ma a migliorare la loro qualità di vita.
Da Roma alziamo forte il grido contro questa cultura imperante dell'aborto che passa anche sotto il silenzio di troppi cosiddetti "pro life" comodi nelle loro poltrone.
Giorgio Gibertini
presidente Centri di aiuto alla vita
di Roma
3473466500
giovedì 1 ottobre 2009
RU486 DICHIARAZIONE VALERIO LATTANZIO
Voglio fare mie le parole della Cei che, assieme al presidente Gibertini ed a tutti gli altri membri del Centro di aiuto alla vita di Roma, condividiamo nel profondo
La commercializzazione in Italia della pillola abortiva Ru 486 'rischia di riportarci indietro rispetto alla legge 194, diffondendo una banalizzazione dell'aborto. 'E' un rischio che ci preoccupa.
Le nostre volontarie già ci chiedono come potranno aiutare le mamme a scegliere per la vita se a queste sarà negato qualsiasi contatto umano ma solo con pillole omicide. L'esperienza del nostro Centro di aiuto alla vita di Roma, unico nella città, ci insegna che stando accanto alle mamme è possibile aiutarle a scegliere per la vita, a ritrovare quel senso di accoglienza alla vita che è dentro ogni essere umano ma che magari in quel momento è un po' sopito.
Dare alla madre una pillola vuol dire semplicemente fregarsene di lei, di suo figlio e della intera società perchè ogni figlio che viene a mancare è un buco in questa nostra nazione.
Ringraziamo la santa madre Chiesa che sempre ci illumina e ci guida col suo insegnamento e col suo sostegno ma invito il Popolo della vita a darsi una sveglia affinché non possa essere commercializzata in Italia la RU486 che è la deriva finale della cultura relativista che considera l'aborto come contraccettivo d'emergenza.
Come il Presidente della Cei Card. Angelo Bagnasco chiediamo ai medici italiani uno scatto d'orgoglio simbolico affinché, come risposta alla cultura di morte, cresca ancora di più l'obiezione di coscienza: a questo gioco al massacro di vittime innocenti noi non ci stiamo.
RU486: FERMIAMO IL PESTICIDA UMANO
COMUNICATO STAMPA
ROMA. DICHIARAZIONE DEL PRESIDENTE GIBERTINI SULLA IMMINENTE COMMERCIALIZZAZIONE DELLA RU486
“Non si può continuare ad usare la Legge 194 solo quando è a favore della morte e non della vita: la Ru486 è contro la vita, contro le donne e contro la stessa legge 194 che non sosteniamo ma alla quale in questo momento, obtorto collo, siamo costretti ad appellarci.
Diciamolo chiaro e con forza. La Ru486 non è una medicina. Non cura alcuna malattia. Non aiuta la vita, la stronca sul nascere. La Ru486 non è amichevole nei confronti delle donne. Non realizza in alcun modo un aborto indolore, posto che sia possibile realizzarlo.
E' al contrario un sistema abortivo altamente controverso anche dal punto di vista della sua sicurezza ed efficienza clinica.
Più importante ancora, la pillola abortiva tende a deresponsabilizzare il sistema medico, e a ridurlo a dispensario di veleni, e lascia sole le donne, inducendole a una sofferenza fisica e psichica prolungata e domestica, molto simile alle vecchie procedure dell'aborto clandestino.
Per queste ragioni etiche siamo contrari alla pillola Ru486 e alla sua introduzione in Italia, anche perché la sua utilizzazione è incompatibile con le norme della legge 194/1978 e speriamo che l'indagine parlamentare che ha preso il via oggi in Commissione Sanità al Senato stabilisca con chiarezza almeno questo fatto.
Noi pensiamo che occorra fare di tutto, ciascuno nelle forme pertinenti il proprio ruolo, per impedirla. Jerome Lejeune, noto genetista scopritore della sindrome di Down, definì la Ru486 come un pesticida umano: dobbiamo aggiungere altro?
Occorre fare di tutto, oggi che si parla di libertà di stampa di manifestazioni per il diritto di sapere ed il dovere di informare, per informare sulla verità di questa pillola che, oltre ad uccidere il figlio, ha già ucciso nel mondo anche 29 mamme!
Ai dirigenti dell'Aifa chiediamo di andare a ripassarsi, su un normale dizionario, la definizione di Farmaco che qui riporto per facilitare il loro compito e venire incontro alla loro pigrizia mentale: un farmaco è una sostanza o un'associazione di sostanze con proprietà curative.
Ai medici che favoriscono l'aborto chiediamo dove è finito il giuramento di Ippocrate e dove saranno loro quando le madri abortiranno in solitudine e dovremo sempre essere noi a raccogliere il loro dolore e ricostruire il loro futuro?
Ai politici chiediamo di non chiederci "un disarmo ideologico" quando si tratta di vita e di morte ma che si espongano, nome e cognome e facce, per difendere la vita e per studiare i modi per evitare che la RU486 sia distribuita in Italia: nomi e cognomi che ricorderemo per le prossime elezioni.
L'aborto uccide sempre due persone: il bambino e la mamma, con la Ru486 questa affermazione è anche confermata, purtroppo, dai fatti.”
GIORGIO GIBERTINI
PRESIDENTE
CENTRO DI AIUTO ALLA VITA DI ROMA
3473466500
mercoledì 30 settembre 2009
IN PIAZZA PER LA LIBERTA' DI STAMPA E PER LA VITA
ADERISCI ANCHE TU PER LA VERA LIBERTA’ DI STAMPA
Eh si, ci sarò anche io coi miei volontari sabato in Piazza per la libertà di stampa. Non so se mi faranno parlare ma cercherò di dire perché sono lì anche io contro “l’informazione al guinzaglio” e per dire anche io sì al Diritto di Sapere ed al Diritto di informare.
Voglio che su tutti i giornali, in tutte le televisioni, a tutte le radio venga detto che la vita è sacra da concepimento a morte naturale; voglio che venga detto che per legge in Italia, dal 1978, sono stati uccisi quasi 5 milioni di miei concittadini molti dei quali oggi potrebbero essere a loro volta madri e padri; voglio che su tutta la stampa venga detto che la Ru486 è un “pesticida umano” che uccide i bambini ed a volte anche le mamme; voglio che in televisione siano invitate le mamme aiutate dal nostro Centro di aiuto alla vita di Roma a scegliere per la vita, assieme ai loro bambini, felici come fosse sempre pasqua; voglio che alla Radio passi anche la voce di quella mamma che ha abortito 44 anni fa e mi ha confidato che ogni giorno rivive quel momento di dolore e non voglio una stampa “al guinzaglio” del pensare tutti la stessa cosa sulla vita, sulla libertà, sui diritti civili e mai sentire la voce di chi è veramente per la vita e non per la morte; voglio una stampa che tutti i giorni sia sotto casa dell’amico Mario Melazzini per vedere come affronta la vita che si sta adagiando sulla morte e non solo e sempre in casa dei “Welby” che invece vogliono solo morire come diritto; voglio una televisione che faccia sentire anche le parole dei parenti e degli amici di Cesare Scoccimarro, anche lui malato di Sla, anche lui in lotta per vivere da 15 anni e non solo le solite immagini di chi ha lasciato morire Eluana di stenti privandola d’acqua ed ora si erge a paladino dei diritti della libertà; voglio una stampa che non parli di “disarmo ideologico” solo quando siamo noi a dover cedere mentre in altri casi, per esempio se si parla della 194, tutti in coro urlano “non si tocca”; voglio che sulla stampa quando qualcuno scrive che l’aborto è un diritto io possa scrivere che è molto storto!
Questa mi sembra una giusta libertà di stampa, il vero diritto di sapere ed il vero dovere di informare e vista la censura corale e totale dei media italiani su questi temi (salvo alcune nobili eccezioni) Sabato 3 ottobre sarò in Piazza per la libertà di dire sulla stampa che la vita va rispettata, tutelata, amata e custodita dal concepimento a morte naturale.
Giorgio Gibertini - Presidente Centro di aiuto alla vita di Roma
venerdì 25 settembre 2009
RADIO MATER
giovedì 17 settembre 2009
ARTICOLO DEL PRESIDENTE GIBERTINI SU AVVENIRE DEL 17 SETTEMBRE 2009
« D iciamolo chiaro: la Ru486 non è una medicina. Non cura alcuna malattia. Non aiuta la vita, la stronca sul nascere. La Ru486 non è amichevole nei confronti delle donne. Non realizza in alcun modo un aborto indolore, posto che sia possibile realizzarlo. È al contrario un sistema abortivo altamente controverso anche dal punto di vista della sua sicurezza ed efficienza clinica. Più importante ancora, la pillola abortiva tende a deresponsabilizzare il sistema medico, e a ridurlo a dispensario di veleni, e lascia sole le donne, inducendole a una sofferenza fisica e psichica prolungata e domestica, molto simile alle vecchie procedure dell’aborto clandestino. Per queste ragioni etiche siamo contrari alla pillola Ru486 e alla sua introduzione in Italia, anche perché la sua utilizzazione è incompatibile con le norme della legge 194/1978. E pensiamo che occorra fare di tutto, ciascuno nelle forme pertinenti il proprio ruolo, per impedirla. «Che cos’è la Ru486, un altro cocktail?», chiedeva questa estate una ragazzina al termine di un incontro agostano sulle spiagge di Selinunte, dove la «Missione di strada» – organizzata da fra Mauro, suor Elisabetta e Daniela Scialabba – ha portato tra i bagnanti queste tematiche. Una settimana di incontri in cui è stato organizzato sotto gli ombrelloni un dibattito su: «Come cambia l’aiuto alla vita dopo l’introduzione della Ru486», al quale hanno partecipato il Centro di aiuto alla vita ed il Movimento per la vita di Castelvetrano. Dirò forse una cosa eccessiva: ma a me il dibattito di questi giorni sulla Ru486 ha riportato alla mente un episodio del 1991. Ero un ragazzo che osservava allibito la prima guerra del Golfo, quella delle 'bombe intelligenti'. Ricordo che nel chiacchiericcio su questo argomento intervenne un amico: «Saranno pure intelligenti – disse – ma uccidono sempre persone umane». Sintesi semplice ma perfetta. Anche la Ru486 è un farmaco 'intelligente': colpisce selettivamente il suo obiettivo, e facendolo sopprime una vita umana, sebbene i mass media e la politica abbiano tentato in ogni modo di farci perdere di vista questa realtà. Un «pesticida umano», come la definì Jérôme Lejeune, scopritore della sindrome di Down, ho spiegato alla ragazzina che pensava fosse un cocktail. Il suo volto era cambiato, da sguardo di sfida a occhi di incontro. «Non è proprio un bel cocktail», ha commentato e se ne è andata. Abbiamo una certezza: avviare un dibattito così impegnativo in spiaggia non è stato inutile, le nostre non sono state solo parole gettate al vento, forse hanno raggiunto il cuore anche di qualcun altro e hanno svolto la loro «missione di strada».
martedì 1 settembre 2009
venerdì 28 agosto 2009
VICINI A DINO BOFFO
Durante i festeggiamenti del Decennale del nostro Centro abbiamo proprio voluto anche premiare, con il primo premio "Roma è vita" anche il quotidiano Avvenire. Il Direttore Boffo, gentile e modesto come sempre, ha accettato volentieri il premio incaricando del ritiro il suo collaboratore e nostro amico Francesco Ognibene.
Ribadisco le motivazioni del premio :
Per le quotidiane battaglie per la vita sostenute non solo in tempi ri referendum o di elezioni politiche e per il magistrale inserto del Giovedì E' vita che è punto di riferimento, di raccolta dati, di riflessione, di approfondimento per tutti i pro life italiani.
Ancor di più oggi il direttore Boffo sostiene un'altra battaglia personale e spero che, guardando la nostra targa che so essere nel suo ufficio, ci senta tutti vicini con i nostri volontari, i nostri simpatizzanti, le mamme aiutate ed i 226 bambini nati grazie al volontariato per la vita.
Personalmente il dispiacere è doppio come giornalista e come lettore. Leggo da sempre Avvenire e Feltri, ovvero qualsiasi quotidiano guidato da Feltri. Sono migrato con Feltri in tanti quotidiani ma oggi non lo riconosco più come mio Direttore e penso che anche per lui sia arrivato il momento di chiedere scusa e di cedere il posto per un periodo di riflessione.
Sicuramente Feltri da oggi avrà un sostenitore in meno: un comportamento così deprecabile non me lo sarei mai aspettato da lui."
Giorgio Gibertini
presidente Centro di aiuto alla vita
di Roma
mercoledì 26 agosto 2009
IL CAV DI ROMA A RADIO MATER SULLA RU486
Interverranno in diretta esperti del settore tra i quali: Paolo Gulisano, medico e volontario Cav, Mirella Paracchini, volontaria Cav di Roma, Lorenzo Schoepflin bioeticista e giornalista di Avvenire, Cinzia Baccaglini psicologa specializzata sul post aborto.
Gibertini, nel presentare la diretta, ha dichiarato:
"Diciamolo chiaro e con forza.La Ru486 non è una medicina. Non cura alcuna malattia. Non aiuta la vita, la stronca sul nascere. La Ru486 non è amichevole nei confronti delle donne. Non realizza in alcun modo un aborto indolore, posto che sia possibile realizzarlo. E' al contrario un sistema abortivo altamente controverso anche dal punto di vista della sua sicurezza ed efficienza clinica. Più importante ancora, la pillola abortiva tende a deresponsabilizzare il sistema medico, e a ridurlo a dispensario di veleni, e lascia sole le donne, inducendole a una sofferenza fisica e psichica prolungata e domestica, molto simile alle vecchie procedure dell'aborto clandestino. Per queste ragioni etiche siamo contrari alla pillola Ru486 e alla sua introduzione in Italia, anche perché la sua utilizzazione è incompatibile con le norme della legge 194/1978. E pensiamo che occorra fare di tutto, ciascuno nelle forme pertinenti il proprio ruolo, per impedirla. Jerome Lejeune, noto genetista scopritore della sindrome di Down, definì la Ru486 come un pesticida umano. Pesticida umano: dobbiamo aggiungere altro?
La dottoressa Catherine Lennon, presidente di Doctors for Life dello stato del New South Wales, ha definito la RU-486 un pesticida umano altamente tossico, osservando che esso provoca gravi malformazioni fisiche nei bambini che sopravvivono ai suoi effetti e che può causare gravi danni fisici e psicologici alle donne che si trovano da sole a casa a dover partorire un bambino di 6 o 12 settimane di età. Dove sono le femministe a bloccare questa pillola che uccide il figlio ed inquina, a volte anche mortalmente, il loro corpo, il grembo che dovrebbe accogliere la vita? Dove sono gli ecologisti o quelli che fanno il doping nelle gare ciclistiche, a scandalizzarsi contro questo pesticida che attacca la donna e li altera per sempre in modo innaturale. Siamo per la vita, siamo per le donne, siamo per la natura ma soprattutto per la verità."
mercoledì 5 agosto 2009
L'AIUTO ALLA VITA NON VA IN VACANZA: pronti a ripartire
SE HAI BISOGNO PER UNA GRAVIDANZA DIFFICILE O INDESIDERATA
0650514441
PRIMA DEL BIVIO TRA LA VITA E LA MORTE
CI SIAMO NOI
venerdì 31 luglio 2009
OSPITIAMO VOLENTIERI UNA PRECISAZIONE DEL MINISTRO GIORGIA MELONI SULLA RU486
giorgia meloni
giovedì 30 luglio 2009
A FIANCO DELLE DONNE CONTRO LA RU486
Il dibattito di questi giorni sulla re-introduzione della RU486 in Italia, la pillola per l’aborto farmacologico da prendere entro il 49esimo giorno dall’ultima mestruazione, mi ha riportato alla mente un significativo esempio della gente di strada accadutomi nel lontano 1991. Ero un ragazzotto allora che osservava allibito alla prima guerra del Golfo, quella di Desert Storm, quella delle bombe intelligenti. Ricordo che nel “chiacchiericcio” del bar su questo argomento intervenne un caro amico del mio paese, idraulico, che disse riferendosi alle tanto sponsorizzate bombe: “Saranno pure intelligenti ma uccidono sempre le persone”. Sintesi perfetta della seppur mistificata verità. E’ proprio vero: la persona irachena, l’essere umano iracheno che si vede arrivare in testa la bomba intelligente non si ferma a sottolinearne “l’intelligenza” ma scappa perché c’è di mezzo la sua vita. Credo che l’esempio possa essere riportato pure per la questione della Ru486. In un dibattito televisivo con Silvio Viale (promotore della re-introduzione della pillola) e Daniele Capezzone, qualche anno fa, alla fine il conduttore mi chiese: allora Gibertini, meglio l’aborto tradizionale o quello farmacologico? Meglio nessun aborto, risposi ma non penso di essere stato un genio, ho tratto solamente le logiche conseguenze: due modi diversi di uccidere una persona. Se vi chiedessi che per la già citata guerra in Irak è meglio, per sterminare gli iracheni, usare il gas nervino o le bombe intelligenti voi potreste fare una scelta?
Parlo di re-introduzione della Ru486 perché pochi ricordano, in questi giorni, che la medesima pillola fu provata anche agli inizi degli anni 90 ma poi successivamente ritirata dal commercio perché in alcuni casi aveva provocato gravi conseguenze emorragiche alle donne.
Sento parlare, e sorrido amaramente, che questo sistema è migliore per le donne perché non saranno costrette al ricovero, alla anestesia ed alla sempre pericolosa operazione chirurgica. Il sorriso amaro è dovuto al fatto che solo in questo momento si parla di quanto sia doloroso per la donna l’aborto e si cerca, guarda il caso, di “indorare la pillola”. Però mi domando, e domando, quanto sarà ancor più difficile l’elaborazione del lutto per la madre autrice, in due momenti distinti, della soppressione del figlio. Scusateci ma noi del Centro di Aiuto alla vita di Roma siamo a fianco delle mamme che abortiscono ogni giorno, purtroppo, e sappiamo quanto sia presente la sindrome post aborto in generazioni di mamme che si sono sottoposte all’operazione chirurgica operata da un medico, quindi da un terzo soggetto. Ora sarà la madre a dover prendere una prima pillola che ucciderà il bambino vivente in lei ed a distanza di due giorni la seconda che porterà all’espulsione del bambino abortito: forse la chiameranno anche “pillola intelligente!” ma quanto sarà difficile per la mamma… andare oltre!
Il fatto triste e che vede un rinnegarsi delle femministe è che si è passati in trenta anni dal volere una legge per socializzare il problema dell’aborto e per evitare che le madri non morissero per via di improvvisate operazioni chirurgiche, ad una cultura della banalizzazione dell’aborto che ha aumentato il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza in questi anni e che ora riduce tutto al semplice ingerire due pillole: diseducazione totale verso la vita e verso le nuove generazioni.
Questo fatto mi preoccupa perché ancora di più denota il fallimento della legge 194, quasi dovunque neanche applicata e perché la nostra nazione dovrebbe investire di più per distinguersi nel salvare la vita umana ed aiutare le famiglie e le giovani madri, non gloriarsi del fatto che nei prossimi anni 400 bambini saranno uccisi non per via chirurgica ma per via farmacologica… chissà se questi bambini sono contenti della novità.
Diciamolo chiaro e con forza.
La Ru486 non è una medicina. Non cura alcuna malattia. Non aiuta la vita, la stronca sul nascere. La Ru486 non è amichevole nei confronti delle donne. Non realizza in alcun modo un aborto indolore, posto che sia possibile realizzarlo. E' al contrario un sistema abortivo altamente controverso anche dal punto di vista della sua sicurezza ed efficienza clinica. Più importante ancora, la pillola abortiva tende a deresponsabilizzare il sistema medico, e a ridurlo a dispensario di veleni, e lascia sole le donne, inducendole a una sofferenza fisica e psichica prolungata e domestica, molto simile alle vecchie procedure dell'aborto clandestino. Per queste ragioni etiche siamo contrari alla pillola Ru486 e alla sua introduzione in Italia, anche perché la sua utilizzazione è incompatibile con le norme della legge 194/1978. E pensiamo che occorra fare di tutto, ciascuno nelle forme pertinenti il proprio ruolo, per impedirla. Jerome Lejeune, noto genetista scopritore della sindrome di Down, definì la Ru486 come un “pesticida umano”.
Pesticida umano: dobbiamo aggiungere altro?
La dottoressa Catherine Lennon, presidente di Doctors for Life dello stato del New South Wales, ha definito la RU-486 un “pesticida umano” altamente tossico, osservando che esso provoca gravi malformazioni fisiche nei bambini che sopravvivono ai suoi effetti e che può causare gravi danni fisici e psicologici alle donne che si trovano da sole a casa a dover partorire un bambino di 6 o 12 settimane di età.
Dove sono le femministe a bloccare questa pillola che uccide il figlio ed inquina, a volte anche mortalmente, il loro corpo, il grembo che dovrebbe accogliere la vita?
Dove sono gli ecologisti o quelli che fanno il doping nelle gare ciclistiche, a scandalizzarsi contro questo “pesticida” che attacca la donna e li altera per sempre in modo innaturale.
Siamo per la vita, siamo per le donne, siamo per la natura ma soprattutto per la verità.
mercoledì 29 luglio 2009
Discorso del Card. Bertone al Senato italiano sulla “Caritas in veritate”
Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato dal Cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, di fronte al Senato della Repubblica Italiana a presentazione della Lettera enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI.
* * *
L'enciclica di Benedetto XVI si apre con un'Introduzione, che costituisce una densa e profonda riflessione nella quale vengono ripresi i termini del titolo stesso il quale coniuga fra loro strettamente la caritas e la veritas, l'amore e la verità. Si tratta non solo di una sorta di explicatio terminorum, di un chiarimento iniziale, ma si vogliono indicare i principi e le prospettive fondamentali di tutto il suo insegnamento. Infatti, come in una sinfonia, il tema della verità e della carità ritorna poi lungo tutto il documento, proprio perché qui sta, come scrive il Papa, "la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera" (Caritas in veritate, n. 1).
Ma - ci chiediamo - di quale verità e di quale amore si tratta? Non v'è dubbio che proprio questi concetti suscitino oggi sospetto - soprattutto il termine verità - o siano oggetto di fraintendimento - e ciò vale soprattutto per il termine "amore". Per questo è importante chiarire di quale verità e di quale amore parli la nuova enciclica. Il Santo Padre ci fa comprendere che queste due realtà fondamentali non sono estrinseche all'uomo o addirittura imposte a lui in nome di una qualsivoglia visione ideologica, ma hanno un profondo radicamento nella persona stessa. Infatti, "amore e verità - afferma il Santo Padre - sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo" (n. 1), di quell'uomo che, secondo la Sacra Scrittura, è appunto creato "ad immagine e somiglianza" del suo Creatore, cioè del "Dio biblico, che è insieme Agápe e Lógos: Carità e Verità, Amore e Parola" (n. 3).
Questa realtà ci è testimoniata non solo dalla Rivelazione biblica, ma può essere colta da ogni uomo di buona volontà che usa rettamente della sua ragione nel riflettere su se stesso ("La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l'intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità", n. 3). A questo riguardo, sembrano illustrare bene tale visione alcuni contenuti di un significativo ed importante documento che ha di poco preceduto la pubblicazione della Caritas in veritate: la Commissione Teologica Internazionale ci ha dato nei mesi scorsi un testo intitolato Alla ricerca di un'etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale. Esso affronta delle tematiche di grande importanza, che mi sento di segnalare e raccomandare specialmente in questo contesto del Senato, cioè di una istituzione che ha come funzione precipua la produzione normativa. Infatti, come disse all'Assemblea delle Nazioni Unite a New York il Santo Padre, durante la sua visita dello scorso anno al Palazzo di Vetro a proposito del fondamento dei diritti umani: "Questi diritti trovano il loro fondamento nella legge naturale inscritta nel cuore dell'uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Separare i diritti umani da tale contesto significherebbe limitare la loro portata e cedere a una concezione relativista, per la quale il senso e l'interpretazione dei diritti potrebbe variare e la loro universalità potrebbe essere negata in nome delle diverse concezioni culturali, politiche, sociali e anche religiose" (18 aprile 2008). Sono considerazioni che valgono non solo per i diritti dell'uomo, ma per ogni intervento dell'autorità legittima chiamata a regolare secondo vera giustizia la vita della comunità mediante delle leggi che non siano frutto di una mera intesa convenzionale, ma mirino all'autentico bene della persona e della società e per questo facciano riferimento a questa legge naturale.
Orbene, la Commissione Teologica Internazionale nell'esporre la realtà della legge naturale illustra proprio come la verità e l'amore siano esigenze essenziali di ogni uomo, profondamente radicate nel suo essere. "Nella sua ricerca del bene morale, la persona umana si mette in ascolto di ciò che essa è e prende coscienza delle inclinazioni fondamentali della sua natura" (Alla ricerca di un'etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, n. 45), le quali inclinano l'uomo verso dei beni necessari alla sua realizzazione morale. Come è noto, "si distinguono tradizionalmente tre grandi insiemi di dinamismi naturali (...) Il primo, che le è comune con ogni essere sostanziale, comprende essenzialmente l'inclinazione a conservare e a sviluppare la propria esistenza. Il secondo, che le è comune con tutti i viventi, comprende l'inclinazione a riprodursi per perpetuare la specie. Il terzo, che le è proprio come essere razionale, comporta l'inclinazione a conoscere la verità su Dio e a vivere in società" (n. 46). Approfondendo questo terzo dinamismo che si ritrova in ogni persona, la Commissione Teologica Internazionale afferma che esso "è specifico dell'essere umano come essere spirituale, dotato di ragione, capace di conoscere la verità, di entrare in dialogo con gli altri e di stringere relazioni di amicizia (...) Il suo bene integrale è così intimamente legato alla vita in comunità, che si organizza in società politica in forza di un'inclinazione naturale e non di una semplice convenzione. Il carattere relazionale della persona si esprime anche con la tendenza a vivere in comunione con Dio o l'Assoluto (...)
Certamente, può essere negata da coloro che rifiutano di ammettere l'esistenza di un Dio personale, ma rimane implicitamente presente nella ricerca della verità e del senso presente in ogni essere umano" (n. 50).
L'uomo è dunque fatto per conoscere mediante la "ragione allargata" (cfr. Discorso del 12 settembre 2006 all'università di Regensburg) la verità in tutta la sua ampiezza, cioè non limitandosi ad acquisire conoscenze tecniche per dominare la realtà materiale, ma aprendosi fino ad incontrare il Trascendente, e per vivere pienamente la dimensione interpersonale dell'amore, "principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici" (Caritas in veritate, n. 2). Sono proprio la veritas e la caritas che ci indicano le esigenze della legge naturale che Benedetto XVI pone come criterio fondamentale della riflessione di ordine morale sull'attuale realtà socio-economica: "Caritas in veritate è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa, un principio che prende forma operativa in criteri orientativi dell'azione morale" (n. 6).
Con efficace espressione, il Santo Padre afferma perciò che "la dottrina sociale della Chiesa (...) è caritas in veritate in re sociali: annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società. Tale dottrina è servizio della carità, ma nella verità" (n. 5).
La proposta dell'enciclica non è né di carattere ideologico né solo riservata a chi condivide la fede nella Rivelazione divina, ma si fonda su realtà antropologiche fondamentali, quali sono appunto la verità e la carità rettamente intese, o come dice la stessa enciclica, date all'uomo e da lui ricevute, non da lui prodotte arbitrariamente ("La verità, che al pari della carità è dono, è più grande di noi, come insegna sant'Agostino. Anche la verità di noi stessi, della nostra coscienza personale, ci è prima di tutto "data". In ogni processo conoscitivo, in effetti, la verità non è prodotta da noi, ma sempre trovata o, meglio, ricevuta. Essa, come l'amore, "non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo si impone all'essere umano"", Caritas in veritate, n. 34). Benedetto XVI vuol ricordare a tutti che solo ancorandosi a questo duplice criterio della veritas e della caritas, fra loro inseparabilmente congiunte, si può costruire l'autentico bene dell'uomo, fatto per la verità e l'amore. Secondo il Santo Padre, "solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante" (n. 9).
Dopo questa indispensabile premessa, nella quale ho voluto evidenziare alcuni aspetti antropologici e teologici del testo pontificio, forse meno commentati dai servizi giornalistici, desidero esporre ora solo alcuni punti, senza avere la pretesa di coprire il vasto contenuto dell'enciclica, di cui, peraltro, autorevoli commentatori, anche sulle pagine de "L'Osservatore Romano" o altrove, hanno già offerto specifici approfondimenti.
Un importante messaggio che ci viene dalla Caritas in veritate è l'invito a superare l'ormai obsoleta dicotomia tra la sfera dell'economico e la sfera del sociale. La modernità ci ha lasciato in eredità l'idea in base alla quale per poter operare nel campo dell'economia sia indispensabile mirare al profitto ed essere animati prevalentemente dal proprio interesse; come a dire che non si è pienamente imprenditori se non si persegue la massimizzazione del profitto. In caso contrario, ci si dovrebbe accontentare di far parte della sfera del sociale.
Questa concettualizzazione, che confonde l'economia di mercato che è il genus con una sua particolare species quale è il sistema capitalistico, ha portato ad identificare l'economia con il luogo della produzione della ricchezza (o del reddito) e il sociale con il luogo della solidarietà per un'equa distribuzione della stessa.
La Caritas in veritate ci dice, invece, che fare impresa è possibile anche quando si perseguono fini di utilità sociale e si è mossi all'azione da motivazioni di tipo pro-sociale. È questo un modo concreto, anche se non l'unico, di colmare il divario tra l'economico e il sociale dato che un agire economico che non incorporasse al proprio interno la dimensione del sociale non sarebbe eticamente accettabile, come è altrettanto vero che un sociale meramente redistributivo, che non facesse i conti col vincolo delle risorse, non risulterebbe alla lunga sostenibile: prima di poter distribuire occorre, infatti, produrre.
Si deve essere particolarmente grati a Benedetto XVI per aver voluto sottolineare il fatto che l'agire economico non è qualcosa di staccato e di alieno dai principi cardine della dottrina sociale della Chiesa che sono: centralità della persona umana; solidarietà; sussidiarietà; bene comune.
Occorre superare la concezione pratica in base alla quale i valori della dottrina sociale della Chiesa dovrebbero trovare spazio unicamente nelle opere di natura sociale, mentre agli esperti di efficienza spetterebbe il compito di guidare l'economia. È merito, certamente non secondario, di questa enciclica quello di contribuire a porre rimedio a questa lacuna, che è culturale e politica ad un tempo.
Contrariamente a quel che si pensa non è l'efficienza il fundamentum divisionis per distinguere ciò che è impresa e ciò che non lo è, e questo per la semplice ragione che la categoria dell'efficienza appartiene all'ordine dei mezzi e non a quello dei fini. Infatti, si deve essere efficienti per conseguire al meglio il fine che liberamente si è scelto di dare alla propria azione. L'imprenditore che si lascia guidare da un'efficienza fine a se stessa rischia di scadere nell'efficientismo, che è una delle cause oggi più frequenti di distruzione della ricchezza, come la crisi economico-finanziaria in atto tristemente conferma.
Ampliando un istante la prospettiva del discorso, dire mercato significa dire competizione e ciò nel senso che non può esistere il mercato laddove non c'è pratica di competizione (anche se il contrario non è vero). E non v'è chi non veda come la fecondità della competizione stia nel fatto che essa implica la tensione, la dialettica che presuppone la presenza di un altro e la relazione con un altro. Senza tensione non c'è movimento, ma il movimento - ecco il punto - cui la tensione dà luogo può essere anche mortifero, cioè generatore di morte.
Quando lo scopo dell'agire economico non è la tensione verso un comune obiettivo - come l'etimo latino cum-petere lascerebbe chiaramente intendere - ma l'hobbesiana mors tua, vita mea, il legame sociale viene ridotto al rapporto mercantile e l'attività economica tende a divenire inumana e dunque ultimamente inefficiente. Dunque, anche nella competizione, la "dottrina sociale della Chiesa ritiene che possano essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reciprocità, anche all'interno dell'attività economica e non soltanto fuori di essa o "dopo" di essa. La sfera economica non è né eticamente neutrale né di sua natura disumana e antisociale. Essa appartiene all'attività dell'uomo e, proprio perché umana, deve essere strutturata e istituzionalizzata eticamente" (n. 36).
Ebbene, il guadagno, certo non da poco, che la Caritas in veritate ci offre è quello di prendere in grande considerazione quella concezione del mercato, tipica della tradizione di pensiero dell'economia civile, secondo cui si può vivere l'esperienza della socialità umana all'interno di una normale vita economica e non già al di fuori di essa o a lato di essa. È questa una concezione che si potrebbe definire alternativa, sia rispetto a quella che vede il mercato come luogo dello sfruttamento e della sopraffazione del forte sul debole, sia a quella che, in linea con il pensiero anarco-liberista, lo vede come luogo in grado di dare soluzione a tutti i problemi della società.
Questo modo di fare impresa si differenzia nei confronti dell'economia di tradizione smithiana che vede il mercato come l'unica istituzione davvero necessaria per la democrazia e per la libertà. La dottrina sociale della Chiesa ci ricorda invece che una buona società è frutto certamente del mercato e della libertà, ma ci sono esigenze, riconducibili al principio di fraternità, che non possono essere eluse, né rimandate alla sola sfera privata o alla filantropia. Piuttosto, essa propone un umanesimo a più dimensioni, nel quale il mercato non è combattuto o "controllato", ma è visto come momento importante della sfera pubblica - sfera che è assai più vasta di ciò che è statale - che, se concepito e vissuto come luogo aperto anche ai principi di reciprocità e del dono, può costruire una sana convivenza civile.
Prendo ora in considerazione uno dei temi presenti nell'enciclica che mi pare abbia suscitato un certo interesse pubblico per la novità che rivestono i principi di fraternità e di gratuità nell'agire economico. "Lo sviluppo, se vuole essere autenticamente umano", dice Benedetto XVI , deve "fare spazio al principio di gratuità" (n. 34). Servono "forme economiche solidali". Significativo, in questo senso il capitolo dedicato alla collaborazione della famiglia umana, dove viene messo in evidenza che "lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia" per cui "un simile pensiero obbliga ad un approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione". E ancora: "Il tema dello sviluppo coincide con quello dell'inclusione relazionale di tutte le persone e di tutti i popoli nell'unica comunità della famiglia umana, che si costruisce nella solidarietà sulla base dei fondamentali valori della giustizia e della pace" (nn. 53-54).
La parola chiave che oggi meglio di ogni altra esprime questa esigenza è quella di fraternità. È stata la scuola di pensiero francescana a dare a questo termine il significato che esso ha conservato nel corso del tempo, che costituisce il complemento e l'esaltazione del principio di solidarietà. Infatti mentre la solidarietà è il principio di organizzazione sociale che consente ai diseguali di diventare eguali per via della loro uguale dignità e dei loro diritti fondamentali, il principio di fraternità è quel principio di organizzazione sociale che consente agli eguali di esser diversi, nel senso di poter esprimere diversamente il loro piano di vita o il loro carisma.
Esplicito meglio: le stagioni che abbiamo lasciato alle spalle, l'Ottocento e soprattutto il Novecento, sono state caratterizzate da grosse battaglie, sia culturali sia politiche, in nome della solidarietà e questa è stata cosa buona; si pensi alla storia del movimento sindacale e alla lotta per la conquista dei diritti civili. Il punto è che una società orientata al bene comune non può accontentarsi della solidarietà, ma ha bisogno di una solidarietà che rispecchi la fraternità dato che, mentre la società fraterna è anche solidale, il contrario non è necessariamente vero.
Se si dimentica il fatto che non è sostenibile una società di esseri umani in cui viene meno il senso di fraternità e in cui tutto si riduce a migliorare le transazioni basate sullo scambio di equivalenti o ad aumentare i trasferimenti attuati da strutture assistenziali di natura pubblica, ci si rende conto del perché, nonostante la qualità delle forze intellettuali in campo, non si sia ancora addivenuti ad una soluzione credibile del grande trade-off tra efficienza ed equità. La Caritas in veritate ci aiuta a prendere coscienza che la società non è capace di futuro se si dissolve il principio di fraternità; non è cioè capace di progredire se esiste e si sviluppa solamente la logica del "dare per avere" oppure del "dare per dovere". Ecco perché, né la visione liberal-individualista del mondo, in cui tutto (o quasi) è scambio, né la visione statocentrica della società, in cui tutto (o quasi) è doverosità, sono guide sicure per farci uscire dalle secche in cui le nostre società sono oggi impantanate.
Ci si pone allora la domanda: perché riemerge come un fiume carsico, la prospettiva del bene comune, secondo la formulazione ad essa data dalla dottrina sociale della Chiesa, dopo almeno un paio di secoli durante i quali essa era di fatto uscita di scena? Perché il passaggio dai mercati nazionali al mercato globale, consumatosi nel corso dell'ultimo quarto di secolo, va rendendo di nuovo attuale il discorso sul bene comune? Osservo, di sfuggita, che quanto accade è parte di un più vasto movimento di idee in economia, un movimento il cui oggetto è il legame tra religiosità e performance economica. A partire dalla considerazione che le credenze religiose sono di importanza decisiva nel forgiare le mappe cognitive dei soggetti e nel plasmare le norme sociali di comportamento, questo movimento di idee cerca di indagare quanto la prevalenza in un determinato Paese (o territorio) di una certa matrice religiosa influenzi la formazione di categorie di pensiero economico, i programmi di welfare, la politica scolastica e così via. Dopo un lungo periodo di tempo, durante il quale la celebre tesi della secolarizzazione pareva avesse detto la parola fine sulla questione religiosa, almeno per quel che concerne il campo economico, quanto sta oggi accadendo suona veramente paradossale.
Non è così difficile spiegarsi il ritorno nel dibattito culturale contemporaneo della prospettiva del bene comune, vera e propria cifra dell'etica cattolica in ambito socio-economico. Come Giovanni Paolo ii in parecchie occasioni ha chiarito, la dottrina sociale della Chiesa non va considerata una teoria etica ulteriore rispetto alle tante già disponibili in letteratura, ma una "grammatica comune" a queste, perché fondata su uno specifico punto di vista, quello del prendersi cura del bene umano. Invero, mentre le diverse teorie etiche pongono il loro fondamento vuoi nella ricerca di regole (come succede nel giusnaturalismo positivistico, secondo cui l'etica viene derivata dalla norma giuridica) vuoi nell'agire (si pensi al neo-contrattualismo rawlsiano o al neo-utilitarismo), la dottrina sociale della Chiesa accoglie come suo punto archimedeo lo "stare con". Il senso dell'etica del bene comune, spiega che per poter comprendere l'azione umana, occorre porsi nella prospettiva della persona che agisce (Veritatis splendor, n. 78) e non nella prospettiva della terza persona (come fa il giusnaturalismo) ovvero dello spettatore imparziale (come Adam Smith aveva suggerito). Infatti il bene morale, essendo una realtà pratica, lo conosce primariamente non chi lo teorizza, ma chi lo pratica: è lui che sa individuarlo e quindi sceglierlo con certezza ogniqualvolta è in discussione.
Veniamo allora a parlare del principio del dono in economia. Cosa comporta, a livello pratico, l'accoglimento della prospettiva della gratuità entro l'agire economico? Risponde Papa Benedetto XVI che mercato e politica necessitano "di persone aperte al dono reciproco" (Caritas in veritate, nn. 35-39). La conseguenza che discende dal riconoscere al principio di gratuità un posto di primo piano nella vita economica ha a che vedere con la diffusione della cultura e della prassi della reciprocità.
Assieme alla democrazia, la reciprocità - definita da Benedetto XVI "l'intima costituzione dell'essere umano" (n. 57) - è valore fondativo di una società. Anzi, si potrebbe anche sostenere che è dalla reciprocità che la regola democratica trae il suo senso ultimo.
In quali "luoghi" la reciprocità è di casa, viene cioè praticata ed alimentata? La famiglia è il primo di tali luoghi: si pensi ai rapporti tra genitori e figli e tra fratelli e sorelle. Attorno alla propria famiglia si sviluppa quel rapporto donativo tipico della fraternità. Poi c'è la cooperativa, l'impresa sociale e le varie forme di associazioni. Non è forse vero che i rapporti tra i componenti di una famiglia o tra soci di una cooperativa sono rapporti di reciprocità? Oggi sappiamo che il progresso civile ed economico di un Paese dipende basicamente da quanto diffuse tra i suoi cittadini sono le pratiche di reciprocità. C'è oggi un immenso bisogno di cooperazione: ecco perché abbiamo bisogno di espandere le forme della gratuità e di rafforzare quelle che già esistono. Le società che estirpano dal proprio terreno le radici dell'albero della reciprocità sono destinate al declino, come la storia da tempo ci ha insegnato.
Qual è la funzione propria del dono? Quella di far comprendere che accanto ai beni di giustizia ci sono i beni di gratuità e quindi che non è autenticamente umana quella società nella quale ci si accontenta dei soli beni di giustizia. Il Papa parla della "stupefacente esperienza del dono" (n. 34).
Qual è la differenza? I beni di giustizia sono quelli che nascono da un dovere; i beni di gratuità sono quelli che nascono da una obbligatio. Sono beni cioè che nascono dal riconoscimento che io sono legato ad un altro, che, in un certo senso, è parte costitutiva di me. Ecco perché la logica della gratuità non può essere semplicisticamente ridotta ad una dimensione puramente etica; la gratuità infatti non è una virtù etica. La giustizia, come già Platone insegnava, è una virtù etica, e siamo tutti d'accordo sull'importanza della giustizia, ma la gratuità riguarda piuttosto la dimensione sovra-etica dell'agire umano perché la sua logica è la sovrabbondanza, mentre la logica della giustizia è la logica dell'equivalenza. Ebbene, la Caritas in veritate ci dice che una società per ben funzionare e per progredire ha bisogno che all'interno della prassi economica ci siano soggetti, che capiscano cosa sono i beni di gratuità, che si capisca, in altre parole, che abbiamo bisogno di far rifluire nei circuiti della nostra società il principio di gratuità.
Benedetto XVI invita a restituire il principio del dono alla sfera pubblica. Il dono autentico, affermando il primato della relazione sul suo esonero, del legame intersoggettivo sul bene donato, dell'identità personale sull'utile, deve poter trovare spazio di espressione ovunque, in qualunque ambito dell'agire umano, ivi compresa l'economia. Il messaggio che la Caritas in veritate ci lascia è quello di pensare la gratuità, e dunque la fraternità, come cifra della condizione umana e quindi di vedere nell'esercizio del dono il presupposto indispensabile affinché Stato e mercato possano funzionare avendo di mira il bene comune. Senza pratiche estese di dono si potrà anche avere un mercato efficiente ed uno Stato autorevole (e perfino giusto), ma di certo le persone non saranno aiutate a realizzare la gioia di vivere. Perché efficienza e giustizia, anche se unite, non bastano ad assicurare la felicità delle persone.
La Caritas in veritate si sofferma sulle cause profonde (e non già sulle cause prossime) della crisi ancora in atto. Non è mia intenzione passarle in rassegna e mi limiterò a sintetizzare i tre principali fattori di crisi individuati e presi in esame.
Il primo concerne il mutamento radicale nel rapporto tra finanza e produzione di beni e servizi che si è venuto a consolidare nel corso dell'ultimo trentennio. A partire dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso, diversi Paesi occidentali hanno condizionato le loro promesse in materia pensionistica ad investimenti che dipendevano dalla profittabilità sostenibile dei nuovi strumenti finanziari, esponendo così l'economia reale ai capricci della finanza e generando il bisogno crescente di destinare alla remunerazione dei risparmi in essi investiti quote di valore aggiunto. Le pressioni sulle imprese, derivanti dalle borse e dai fondi di private equity, si sono ripercosse in più direzioni: sui dirigenti indotti a migliorare continuamente le performance delle loro gestioni allo scopo di ricevere volumi crescenti di stocks options; sui consumatori per convincerli a comprare sempre di più, pur in assenza di potere d'acquisto; sulle imprese dell'economia reale per convincerle ad aumentare il valore per l'azionista.
E così è accaduto che la richiesta persistente di risultati finanziari sempre più brillanti si sia ripercossa sull'intero sistema economico, fino a diventare un vero e proprio modello culturale.
Il secondo fattore causale della crisi è la diffusione a livello di cultura popolare dell'ethos dell'efficienza come criterio ultimo di giudizio e di giustificazione della realtà economica. Per un verso, ciò ha finito col legittimare l'avidità - che è la forma più nota e più diffusa di avarizia - come una sorta di virtù civica: il greed market che sostituisce il free market. Greed is good, greed is right ("l'avidità è buona; l'avidità è giusta"), predicava Gordon Gekko, il protagonista del celebre film del 1987, Wall Street.
Infine, la Caritas in veritate non manca di soffermarsi sulla causa delle cause della crisi: le specificità della matrice culturale che si è andata consolidando negli ultimi decenni sull'onda, da un lato, del processo di globalizzazione e, dall'altro, dall'avvento della terza rivoluzione industriale, quella delle tecnologie info-telematiche. Un aspetto specifico di tale matrice riguarda l'insoddisfazione, sempre più diffusa, circa il modo di interpretare il principio di libertà. Come è noto, tre sono le dimensioni costitutive della libertà: l'autonomia, l'immunità, la capacitazione.
L'autonomia dice libertà di scelta: non si è liberi se non si è posti nella condizione di scegliere. L'immunità, invece, dice assenza di coercizione da parte di un qualche agente esterno. È, in buona sostanza, la libertà negativa (ovvero la "libertà da"). La capacitazione, (letteralmente: capacità di azione) infine, dice capacità di scelta, di conseguire cioè gli obiettivi, almeno in parte o in qualche misura, che il soggetto si pone. Non si è liberi se mai (o almeno in parte) si riesce a realizzare il proprio piano di vita.
Come si può comprendere, la sfida da raccogliere è quella di fare stare insieme tutte e tre le dimensioni della libertà: è questa la ragione per la quale il paradigma del bene comune appare come una prospettiva quanto mai interessante da esplorare.
Alla luce di quanto precede riusciamo a comprendere perché la crisi finanziaria non può dirsi un evento né inatteso né inspiegabile. Ecco perché, senza nulla togliere agli indispensabili interventi in chiave regolatoria e alle necessarie nuove forme di controllo, non riusciremo ad impedire l'insorgere in futuro di episodi analoghi se non si aggredisce il male alla radice, vale a dire se non si interviene sulla matrice culturale che sorregge il sistema economico. Alle autorità di governo questa crisi lancia un duplice messaggio. In primo luogo, che la critica sacrosanta allo "Stato interventista" in nessun modo può valere a disconoscere il ruolo centrale dello "Stato regolatore". In secondo luogo, che le autorità pubbliche collocate ai diversi livelli di governo devono consentire, anzi favorire, la nascita e il rafforzamento di un mercato finanziario pluralista, un mercato cioè in cui possano operare in condizioni di oggettiva parità soggetti diversi per quanto concerne il fine specifico che essi attribuiscono alla loro attività. Penso alle banche del territorio, alle banche di credito cooperativo, alle banche etiche, ai vari fondi etici. Si tratta di enti che non solamente non propongono ai propri sportelli finanza creativa, ma soprattutto svolgono un ruolo complementare, e dunque equilibratore, rispetto agli agenti della finanza speculativa. Se negli ultimi decenni le autorità finanziarie avessero tolto i tanti vincoli che gravano sui soggetti della finanza alternativa, la crisi odierna non avrebbe avuto la potenza devastatrice che stiamo conoscendo.
Prima di concludere, desidero ringraziare il presidente del Senato della Repubblica Italiana, onorevole Schifani, per avermi consentito di illustrare a questo qualificato uditorio alcuni tratti dell'ultima enciclica di Benedetto XVI.
In qualche modo si tratta oggi come di un ritorno del Santo Padre in questa sede del Senato della Repubblica, ove l'allora cardinale Joseph Ratzinger tenne il 13 maggio 2004 nella Biblioteca del Senato stesso una non dimenticata lectio magistralis sul tema "Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani".
È interessante notare come in quell'intervento, tra l'altro, il futuro Pontefice toccava alcuni temi che ritroviamo oggi nella sua ultima enciclica. Pensiamo, ad esempio, all'affermazione della ragione profonda della dignità della persona e dei suoi diritti: essi - diceva l'allora cardinale Ratzinger - "non vengono creati dal legislatore, né conferiti ai cittadini, "ma piuttosto esistono per diritto proprio, sono sempre da rispettare da parte del legislatore, sono a lui previamente dati come valori di ordine superiore". Questa validità della dignità umana previa ad ogni agire politico e ad ogni decisione politica rinvia ultimamente al Creatore: solamente Egli può stabilire valori che si fondano sull'essenza dell'uomo e che sono intangibili. Che ci siano valori che non sono manipolabili per nessuno è la vera e propria garanzia della nostra libertà e della grandezza umana; la fede cristiana vede in ciò il mistero del Creatore e della condizione di immagine di Dio che egli ha conferito all'uomo". Nella Caritas in veritate Benedetto XVI ripete che "i diritti umani rischiano di non essere rispettati" quando "vengono privati del loro fondamento trascendente" (n. 56), cioè quando si dimentica che "Dio è il garante del vero sviluppo dell'uomo, in quanto, avendolo creato a sua immagine, ne fonda altresì la trascendente dignità" (n. 29).
Ancora, nella lectio magistralis tenuta cinque anni or sono, l'attuale Pontefice ricordava che "un secondo punto in cui appare l'identità europea è il matrimonio e la famiglia. Il matrimonio monogamico, come struttura fondamentale della relazione tra uomo e donna e al tempo stesso come cellula nella formazione della comunità statale, è stato forgiato a partire dalla fede biblica. Esso ha dato all'Europa, a quella occidentale come a quella orientale, il suo volto particolare e la sua particolare umanità, anche e proprio perché la forma di fedeltà e di rinuncia qui delineata dovette sempre nuovamente venir conquistata, con molte fatiche e sofferenze.
L'Europa non sarebbe più Europa, se questa cellula fondamentale del suo edificio sociale scomparisse o venisse essenzialmente cambiata". Nella Caritas in veritate questo monito si allarga fino a divenire universale, diremmo globale, e raggiunge tutti responsabili della vita pubblica; così leggiamo, infatti, in essa: "Diventa (...) una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la rispondenza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità della persona. In questa prospettiva, gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità e l'integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società, facendosi carico anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura relazionale" (n. 44).
Certo la Caritas in veritate si rivolge, come si afferma nel suo titolo ufficiale, a tutti i membri della Chiesa cattolica e "a tutti gli uomini di buona volontà". Eppure per i principi che illumina, per i problemi che affronta e per le indicazioni che offre, questo documento pontificio, che ha suscitato tanta attesa, prima, e poi tanta attenzione e tanto apprezzamento, in particolare in ambito sociale, politico ed economico, mi sembra che possa trovare una singolare eco in questa sede istituzionale che è il Senato della Repubblica. Sono convinto che, al di là delle differenze di formazione e di convinzioni personali, coloro che hanno la delicata e onorifica responsabilità di rappresentare il popolo italiano e di esercitare per suo mandato il potere legislativo, possono trovare nelle parole del Papa un'alta e profonda ispirazione nello svolgimento della loro missione, così da rispondere adeguatamente alle sfide etiche, culturali e sociali che oggi ci interpellano e che con grande lucidità e completezza l'enciclica Caritas in veritate ci pone davanti. Il mio augurio è che questo documento del Magistero ecclesiale, che ho cercato di illustrarvi almeno in parte quest'oggi, possa in questa sede trovare l'attenzione che merita e così portare frutti positivi e abbondanti per il bene di ogni persona e di tutta l'umana famiglia, a cominciare dalla cara Nazione italiana.