Dedico alla Bonino questa "Preghiera" di C.Langone:
"Che brutta cosa una vecchiaia oscena, senza un'ombra di pentimento, che dico, di riflessione, per la solitudine e la miseria introdotte in migliaia di case con il divorzio, per il sangue di due milioni di aborti che fra poco ti verrà messo in conto. E ancora ti agiti e ti arruffi, ancora cerchi giovani da ipnotizzare e aiuole da calpestare, come in quella canzone che ti dedicò Francesco De Gregori. Ancora pretendi palcoscenici, ancora esigi microfoni da cui sibilare ricatti, con quella voce da vampiro con l'enfisema che ti ritrovi. Digiuna, Marco, o Giacinto, o come caspita ti chiami, digiuna."
La vita è la scelta che non si rimpiange mai. Aiutiamo le mamme a scegliere per la vita,offrendo loro assistenza a 360 gradi, prima, durante e dopo il parto. Assistenza concreta anche per il post aborto. Facciamo formazione alla bioetica, educazione alla sessualità ed organizziamo corsi di formazione e di educazione alla vita. Se hai bisogno chiamaci attivi 24 ore su 24 al 0650514441.
martedì 23 febbraio 2010
mercoledì 10 febbraio 2010
CONDIVIDIAMO LE PAROLE DI D'AGOSTINO
QUANTE AMBIGUITÀ ATTORNO ALLA DRAMMATICA MORTE DI ELUANA
Mai più il rispetto di una presunta volontà diventi «abbandono terapeutico»
FRANCESCO D’AGOSTINO
A un anno dalla morte di Eluana, il signor Englaro torna a spiegarci le ragioni fondamentali della sua «battaglia». Non è stata, primariamente, la pietà a muoverlo, ma la convinzione che ad Eluana fosse negato un diritto civile fondamentale, quello di disporre della propria vita. È per questo, egli ci spiega, che ancora oggi tante persone lo fermano per salutarlo, stringergli la mano e «ringraziarlo»: egli avrebbe, in buona sostanza, aiutato gli italiani a dilatare l’orizzonte delle loro libertà civili.
Da parte mia, e lo dico col massimo rispetto per il signor Englaro e per le sue sofferenze di padre, non trovo che egli si meriti alcun «ringraziamento».
Penso, anzi, che il vero effetto della sua lunga battaglia sia stato quello di aver contribuito ad incrinare il corretto uso di un principio, quello di «autonomia», che è prezioso sul piano dell’esperienza politica, culturale e religiosa, ma rischioso sul piano bioetico. Il punto è che l’autonomia, come ogni altro diritto, non può non avere limiti; non può cioè trasformarsi in una pretesa insindacabile.
Questa però era l’intenzione che ha mosso il signor Englaro: che, in questioni estreme, letteralmente di vita e di morte, si adottasse il riferimento alla volontà dei malati come il criterio regolativo fondamentale per il trattamento da riservare loro. Ma siamo certi di poter sempre accertare, senza ombra di dubbio, quale sia la volontà dei malati? Siamo certi che le indicazioni che Eluana avrebbe lasciato e che sono state ricostruite, anni e anni dopo, attraverso testimonianze (problematiche, come in genere tutte le testimonianze), manifestassero davvero la sua volontà o non piuttosto alcune sue presunte 'preferenze'? Chi ha letto i fatti che Avvenire ha pazientemente verificato riguardo questa dolorosa vicenda arriva a conclusioni diverse.
E poi, brutta parola, «preferenze». Perché non parlare di «volontà»? Perché la parola «volontà», particolarmente se riferita a questioni di vita e di morte, è estremamente pesante e va usata con rispetto e circospezione. «Volontà» implica piena consapevolezza, adeguata informazione, assunzione di responsabilità, capacità di motivare le scelte che si vogliono porre in essere: altrimenti essa, per dir così, si degrada in altro da sé, per l’appunto in «preferenze» o, per usare il termine prediletto da Kant, in un mero «arbitrio». È per questo che utilizzare in bioetica la categoria della volontà è altamente rischioso: perché è pressoché impossibile valutarne l’autenticità. I medici sono sempre stati consapevoli che la malattia, le emozioni, le ansie, le paure, l’età avanzata, la situazione sociale e familiare del paziente alterano di norma la sua volontà e lo inducono spesso a rivolgere a chi li cura richieste ingenue, illusorie, insensate, futili, sproporzionate, illegali, obiettivamente dannose. Richieste che il medico deve saper filtrare e alle quali spesso deve dire di no, non per mancare di rispetto alla volontà del malato, ma perché in quelle richieste non si manifesta la volontà, ma l’arbitrio. La prova è data da quanto sia facile far abbandonare ai malati, ancorché terminali, propositi eutanasici, quando si attiva con loro un rapporto autentico e caldo, quando non li si abbandona alla disperazione, quando li si convince che non resteranno soli nella lotta contro la malattia. Per questo, nella insuperata tradizione della medicina ippocratica, il primo e fondamentale principio non è il rispetto astratto e formale della volontà del malato, ma l’impegno umano e concreto per curarlo e, se possibile, guarirlo.
Poteva essere guarita Eluana? Probabilmente no, ma la scienza non era e non è tuttora in grado di escluderlo del tutto. Poteva essere curata? Certamente sì; è stata curata fino alla fine, e in modo ammirevole, dalle suore di Lecco. Averla fatta morire eutanasicamente, (cioè con asserita «dolcezza»!), è stato un modo di rispettarne la volontà autentica e profonda o non piuttosto un modo di assecondare formalisticamente alcune sue dichiarazioni, probabilmente «arbitrarie» (per la maniera in cui furono formulate, per quella in cui sono state ricostruite, per l’emotività che comunque le avrebbe contrassegnate, per la stessa età che aveva Eluana, quando le avrebbe formulate)? È evidente che il signor Englaro dà a queste domande una risposta molto diversa da quella che qui sto ipotizzando. Ma è a mio avviso ancor più evidente che in questioni estreme, come quelle di cui stiamo parlando, cioè di vita e di morte, il solo porre tali questioni (e spero che nessuno voglia negare che porre queste domande sia legittimo) dovrebbe metterci tutti in allarme.
Chi si rallegra per la conclusione della vicenda Englaro, pensando che attraverso di essa si sia dilatata la tutela dei diritti umani fondamentali, dovrebbe riflettere seriamente se in realtà non si sia ottenuta piuttosto la legalizzazione di una forma, particolarmente tragica, di abbandono terapeutico.
Mai più il rispetto di una presunta volontà diventi «abbandono terapeutico»
FRANCESCO D’AGOSTINO
A un anno dalla morte di Eluana, il signor Englaro torna a spiegarci le ragioni fondamentali della sua «battaglia». Non è stata, primariamente, la pietà a muoverlo, ma la convinzione che ad Eluana fosse negato un diritto civile fondamentale, quello di disporre della propria vita. È per questo, egli ci spiega, che ancora oggi tante persone lo fermano per salutarlo, stringergli la mano e «ringraziarlo»: egli avrebbe, in buona sostanza, aiutato gli italiani a dilatare l’orizzonte delle loro libertà civili.
Da parte mia, e lo dico col massimo rispetto per il signor Englaro e per le sue sofferenze di padre, non trovo che egli si meriti alcun «ringraziamento».
Penso, anzi, che il vero effetto della sua lunga battaglia sia stato quello di aver contribuito ad incrinare il corretto uso di un principio, quello di «autonomia», che è prezioso sul piano dell’esperienza politica, culturale e religiosa, ma rischioso sul piano bioetico. Il punto è che l’autonomia, come ogni altro diritto, non può non avere limiti; non può cioè trasformarsi in una pretesa insindacabile.
Questa però era l’intenzione che ha mosso il signor Englaro: che, in questioni estreme, letteralmente di vita e di morte, si adottasse il riferimento alla volontà dei malati come il criterio regolativo fondamentale per il trattamento da riservare loro. Ma siamo certi di poter sempre accertare, senza ombra di dubbio, quale sia la volontà dei malati? Siamo certi che le indicazioni che Eluana avrebbe lasciato e che sono state ricostruite, anni e anni dopo, attraverso testimonianze (problematiche, come in genere tutte le testimonianze), manifestassero davvero la sua volontà o non piuttosto alcune sue presunte 'preferenze'? Chi ha letto i fatti che Avvenire ha pazientemente verificato riguardo questa dolorosa vicenda arriva a conclusioni diverse.
E poi, brutta parola, «preferenze». Perché non parlare di «volontà»? Perché la parola «volontà», particolarmente se riferita a questioni di vita e di morte, è estremamente pesante e va usata con rispetto e circospezione. «Volontà» implica piena consapevolezza, adeguata informazione, assunzione di responsabilità, capacità di motivare le scelte che si vogliono porre in essere: altrimenti essa, per dir così, si degrada in altro da sé, per l’appunto in «preferenze» o, per usare il termine prediletto da Kant, in un mero «arbitrio». È per questo che utilizzare in bioetica la categoria della volontà è altamente rischioso: perché è pressoché impossibile valutarne l’autenticità. I medici sono sempre stati consapevoli che la malattia, le emozioni, le ansie, le paure, l’età avanzata, la situazione sociale e familiare del paziente alterano di norma la sua volontà e lo inducono spesso a rivolgere a chi li cura richieste ingenue, illusorie, insensate, futili, sproporzionate, illegali, obiettivamente dannose. Richieste che il medico deve saper filtrare e alle quali spesso deve dire di no, non per mancare di rispetto alla volontà del malato, ma perché in quelle richieste non si manifesta la volontà, ma l’arbitrio. La prova è data da quanto sia facile far abbandonare ai malati, ancorché terminali, propositi eutanasici, quando si attiva con loro un rapporto autentico e caldo, quando non li si abbandona alla disperazione, quando li si convince che non resteranno soli nella lotta contro la malattia. Per questo, nella insuperata tradizione della medicina ippocratica, il primo e fondamentale principio non è il rispetto astratto e formale della volontà del malato, ma l’impegno umano e concreto per curarlo e, se possibile, guarirlo.
Poteva essere guarita Eluana? Probabilmente no, ma la scienza non era e non è tuttora in grado di escluderlo del tutto. Poteva essere curata? Certamente sì; è stata curata fino alla fine, e in modo ammirevole, dalle suore di Lecco. Averla fatta morire eutanasicamente, (cioè con asserita «dolcezza»!), è stato un modo di rispettarne la volontà autentica e profonda o non piuttosto un modo di assecondare formalisticamente alcune sue dichiarazioni, probabilmente «arbitrarie» (per la maniera in cui furono formulate, per quella in cui sono state ricostruite, per l’emotività che comunque le avrebbe contrassegnate, per la stessa età che aveva Eluana, quando le avrebbe formulate)? È evidente che il signor Englaro dà a queste domande una risposta molto diversa da quella che qui sto ipotizzando. Ma è a mio avviso ancor più evidente che in questioni estreme, come quelle di cui stiamo parlando, cioè di vita e di morte, il solo porre tali questioni (e spero che nessuno voglia negare che porre queste domande sia legittimo) dovrebbe metterci tutti in allarme.
Chi si rallegra per la conclusione della vicenda Englaro, pensando che attraverso di essa si sia dilatata la tutela dei diritti umani fondamentali, dovrebbe riflettere seriamente se in realtà non si sia ottenuta piuttosto la legalizzazione di una forma, particolarmente tragica, di abbandono terapeutico.
lunedì 8 febbraio 2010
venerdì 5 febbraio 2010
Giornata per la vita - Parrocchia S. Andrea Avellino
Parrocchia S. Andrea Avellino Roma – via Ascrea 24 a
Parcheggio in via Trionfale 11884
Incontro sul tema della 32^ Giornata Nazionale per la vita
"La forza della vita una sfida nella povertà" essere solidali alla vita
nell'attuale momento di crisi
Domenica 7 febbraio 2010 ore 17, 30
Sala Polifunzionale Sant’Andrea
Interverrà: Giorgio Gibertini
del Centro di Aiuto alla Vita di Roma
Parcheggio in via Trionfale 11884
Incontro sul tema della 32^ Giornata Nazionale per la vita
"La forza della vita una sfida nella povertà" essere solidali alla vita
nell'attuale momento di crisi
Domenica 7 febbraio 2010 ore 17, 30
Sala Polifunzionale Sant’Andrea
Interverrà: Giorgio Gibertini
del Centro di Aiuto alla Vita di Roma
Domenica 7 febbraio Parrocchia San Lino - Pineta Sacchetti - Roma
DOMENICA 7 FEBBRAIO 2010 Giornata Per La Vita
Dal messaggio dei Vescovi Italiani
“Proprio il momento che attraversiamo ci spinge a essere ancora più solidali e ci fa ricordare che, nella ricchezza o nella povertà, nessuno è padrone della propria vita e tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla come un tesoro prezioso dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale.”
Programma
Ore 10 Santa Messa
Ore 11 Incontro: Come si può aiutare la vita a nascere?
Intervengono
Maria Pia Buracchini Psicologa e volontaria Movimento per la vita
Raffaella Cianfrocca Sociologa e volontaria Centro aiuto alla vita
Giorgio Gibertini – Presidente Centro di aiuto alla vita di Roma
Ore 13 Pranzo per tutti in famiglia.
La parrocchia offre un primo piatto caldo e poi condivideremo quello che ognuno vorrà portare!
Durante le Messe sarà presente, un banchetto informativo per la distribuzione materiale e raccolta offerta con la vendita della PRIMULA - IL FIORE DELLA VITA - per finanziare progetti di aiuto alle mamme in difficoltà
E’ prevista un servizio di animazione per ragazzi e bambini a cura dal gruppo ACR
Dal messaggio dei Vescovi Italiani
“Proprio il momento che attraversiamo ci spinge a essere ancora più solidali e ci fa ricordare che, nella ricchezza o nella povertà, nessuno è padrone della propria vita e tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla come un tesoro prezioso dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale.”
Programma
Ore 10 Santa Messa
Ore 11 Incontro: Come si può aiutare la vita a nascere?
Intervengono
Maria Pia Buracchini Psicologa e volontaria Movimento per la vita
Raffaella Cianfrocca Sociologa e volontaria Centro aiuto alla vita
Giorgio Gibertini – Presidente Centro di aiuto alla vita di Roma
Ore 13 Pranzo per tutti in famiglia.
La parrocchia offre un primo piatto caldo e poi condivideremo quello che ognuno vorrà portare!
Durante le Messe sarà presente, un banchetto informativo per la distribuzione materiale e raccolta offerta con la vendita della PRIMULA - IL FIORE DELLA VITA - per finanziare progetti di aiuto alle mamme in difficoltà
E’ prevista un servizio di animazione per ragazzi e bambini a cura dal gruppo ACR
giovedì 4 febbraio 2010
Una bella storia per prepararsi alla GPV 2010
LA SCELTA
Finge un aborto per far
nascere la sua bambina
I suoi genitori avrebbero voluto farla abortire, ma lei ha gridato il suo "no" nel modo più coraggioso. Adesso stringe tra le braccia la sua bambina che, ignara di tutto, chiude i pugnetti e sorride. Miriam (il suo è un nome di fantasia) ha 25 anni e una volontà di ferro. Ha scelto la vita andando contro la volontà dei genitori, contro i benpensanti, contro i pregiudizi. Ora ne è fiera ed è lieta di raccontare al mondo la sua gioia, perché nessun’altra donna si trovi costretta a rinunciare a una nuova vita.
La sua è la storia di una ragazza di un paesino della provincia siciliana. Proviene da una buona famiglia, studia all’Università, ma, durante una relazione con un uomo di cui preferisce non parlare, scopre di essere incinta. È spaventata, eccitata, emozionata. L’idea di interrompere la gravidanza non la sfiora nemmeno. Così, come racconta il "Giornale di Sicilia", si confida con i genitori, ma trova un muro di vergogna e dissenso. «Devi abortire, non sei sposata, non possiamo perdere la faccia», le dicono. Miriam non riesce neppure a replicare, non ci vuole credere, si sente terribilmente sola. Ma non perde la ragione e nemmeno il coraggio. «Ho amato la mia creatura sin dal concepimento – racconta con emozione, ancora coricata nel letto di ospedale –. Ho una solida vocazione genitoriale e non potevo permettere a nessuno che la scintilla di vita che si era accesa nel mio grembo venisse spezzata».
Ricorre allora a uno stratagemma. Simula un aborto spontaneo, cosicché non è necessario recarsi in ospedale. Poi, quando i genitori si sono rasserenati, cerca di trovare un’altra strada per far crescere quella vita. Riflette, si rivolge ai servizi sociali attraverso il Centro aiuto alla vita del suo paese, chiede di essere aiutata a continuare la gravidanza. La informano che a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, esiste il centro di accoglienza "Don Pietro Bonilli", gestito dalle suore della Sacra Famiglia, nato proprio per ospitare le donne in difficoltà. Quasi due anni fa Niscemi era salito agli onori della cronaca per una terribile storia di violenza da parte di tre minorenni che massacrarono e gettarono in un pozzo una ragazza di 14 anni, Lorena Cultraro. Oggi, a pochi giorni dalla Giornata per la vita, diventa il luogo della speranza.
Miriam pensa che sia la Provvidenza a indicarle quella strada. Così, dice ai genitori che deve andare in una città lontana per motivi di studio e, invece, va a Niscemi dove trova suor Genoveffa Calì e suor Provvidenza Orobello a braccia aperte. La più anziana, suor Genoveffa, diventa una seconda mamma per Miriam: la conforta, la sostiene, le dà la forza per andare avanti e non demoralizzarsi, le è vicina al momento delle doglie del parto. Il 26 gennaio scorso Miriam si ricovera all’ospedale di Niscemi "Suor Cecilia Basarocco", dove viene alla luce la piccola Gianna, una bellissima bambina paffuta e piena di capelli corvini. Miriam ha voluto darle il nome di Santa Gianna Beretta Molla, che strenuamente ha difeso la vita della creatura che portava in grembo. La gioia è infinita, indescrivibile. Ma Miriam, poche ore dopo il parto, viene colpita da una forte emorragia. La sera stessa l’équipe del dottore Giovanni Di Leo interviene per bloccarla. Adesso stanno bene sia la mamma che la figlia. Nella stanza del reparto è un viavai di suore, volontarie, nuove amiche di Miriam.
Fanno a gara per cambiare pannolini, mettere la tutina alla piccola, cullarla. «Questa ragazza ha mostrato una fragilità e una forza incredibili. È vero che il Signore non abbandona i deboli», commenta suor Provvidenza, 38 anni, responsabile della casa. E racconta il lieto fine della storia. «Dopo la nascita di Gianna, Miriam ha voluto chiamare i suoi genitori ai quali aveva nascosto dove si trovava realmente e per quale motivo - aggiunge suor Provvidenza -. Papà e mamma sono rimasti sbalorditi, ma sono venuti subito a trovarla. Pochi giorni fa, nonni, mamma e nipotina si sono riabbracciati».
Finge un aborto per far
nascere la sua bambina
I suoi genitori avrebbero voluto farla abortire, ma lei ha gridato il suo "no" nel modo più coraggioso. Adesso stringe tra le braccia la sua bambina che, ignara di tutto, chiude i pugnetti e sorride. Miriam (il suo è un nome di fantasia) ha 25 anni e una volontà di ferro. Ha scelto la vita andando contro la volontà dei genitori, contro i benpensanti, contro i pregiudizi. Ora ne è fiera ed è lieta di raccontare al mondo la sua gioia, perché nessun’altra donna si trovi costretta a rinunciare a una nuova vita.
La sua è la storia di una ragazza di un paesino della provincia siciliana. Proviene da una buona famiglia, studia all’Università, ma, durante una relazione con un uomo di cui preferisce non parlare, scopre di essere incinta. È spaventata, eccitata, emozionata. L’idea di interrompere la gravidanza non la sfiora nemmeno. Così, come racconta il "Giornale di Sicilia", si confida con i genitori, ma trova un muro di vergogna e dissenso. «Devi abortire, non sei sposata, non possiamo perdere la faccia», le dicono. Miriam non riesce neppure a replicare, non ci vuole credere, si sente terribilmente sola. Ma non perde la ragione e nemmeno il coraggio. «Ho amato la mia creatura sin dal concepimento – racconta con emozione, ancora coricata nel letto di ospedale –. Ho una solida vocazione genitoriale e non potevo permettere a nessuno che la scintilla di vita che si era accesa nel mio grembo venisse spezzata».
Ricorre allora a uno stratagemma. Simula un aborto spontaneo, cosicché non è necessario recarsi in ospedale. Poi, quando i genitori si sono rasserenati, cerca di trovare un’altra strada per far crescere quella vita. Riflette, si rivolge ai servizi sociali attraverso il Centro aiuto alla vita del suo paese, chiede di essere aiutata a continuare la gravidanza. La informano che a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, esiste il centro di accoglienza "Don Pietro Bonilli", gestito dalle suore della Sacra Famiglia, nato proprio per ospitare le donne in difficoltà. Quasi due anni fa Niscemi era salito agli onori della cronaca per una terribile storia di violenza da parte di tre minorenni che massacrarono e gettarono in un pozzo una ragazza di 14 anni, Lorena Cultraro. Oggi, a pochi giorni dalla Giornata per la vita, diventa il luogo della speranza.
Miriam pensa che sia la Provvidenza a indicarle quella strada. Così, dice ai genitori che deve andare in una città lontana per motivi di studio e, invece, va a Niscemi dove trova suor Genoveffa Calì e suor Provvidenza Orobello a braccia aperte. La più anziana, suor Genoveffa, diventa una seconda mamma per Miriam: la conforta, la sostiene, le dà la forza per andare avanti e non demoralizzarsi, le è vicina al momento delle doglie del parto. Il 26 gennaio scorso Miriam si ricovera all’ospedale di Niscemi "Suor Cecilia Basarocco", dove viene alla luce la piccola Gianna, una bellissima bambina paffuta e piena di capelli corvini. Miriam ha voluto darle il nome di Santa Gianna Beretta Molla, che strenuamente ha difeso la vita della creatura che portava in grembo. La gioia è infinita, indescrivibile. Ma Miriam, poche ore dopo il parto, viene colpita da una forte emorragia. La sera stessa l’équipe del dottore Giovanni Di Leo interviene per bloccarla. Adesso stanno bene sia la mamma che la figlia. Nella stanza del reparto è un viavai di suore, volontarie, nuove amiche di Miriam.
Fanno a gara per cambiare pannolini, mettere la tutina alla piccola, cullarla. «Questa ragazza ha mostrato una fragilità e una forza incredibili. È vero che il Signore non abbandona i deboli», commenta suor Provvidenza, 38 anni, responsabile della casa. E racconta il lieto fine della storia. «Dopo la nascita di Gianna, Miriam ha voluto chiamare i suoi genitori ai quali aveva nascosto dove si trovava realmente e per quale motivo - aggiunge suor Provvidenza -. Papà e mamma sono rimasti sbalorditi, ma sono venuti subito a trovarla. Pochi giorni fa, nonni, mamma e nipotina si sono riabbracciati».
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