Samek Lodovici: Quanto alle coppie omosessuali, è ovvio che esse non possono contribuire mediante la procreazione alla continuazione della società.
Si obbietta che potrebbero farlo adottando dei bambini. Ma, in realtà, dare dei bambini in adozione a queste coppie significa, quanto meno, privarli della figura materna/paterna, che non può essere surrogata da chi è uomo/donna.
Xavier Lacroix ha criticato efficacemente l’attendibilità di alcuni dati che vengono citati per sostenere che per un bambino essere adottato da omosessuali è indifferente.
Al contrario, i dati che finora abbiamo a disposizione mostrano che i bambini affidati a queste coppie hanno una probabilità molto più alta di soffrire di gravi disturbi psicologici, di avere un’autostima bassa, una maggiore propensione alla tossicodipendenza e ad autolesionarsi (cfr. Deevy, 1989, p. 34), per almeno i seguenti 5 motivi.
1) La già menzionata assenza della figura materna/paterna. E’ vero che ci sono casi della vita in cui i bambini trovano le figure di riferimento femminile/maschile fuori dalla coppia genitoriale; ma ciò è un rimedio che non si verifica sempre e che non intacca l’inaccettabilità della privazione iniziale. Esistono situazioni particolari (per es. in tempo di guerra) in cui alcuni bambini vengono allevati da due donne; ma una situazione eccezionale dà adito a soluzioni eccezionali che non possono essere la norma, né un bene.
2) La brevità dei legami omosessuali, che si infrangono molto più frequentemente di quelli delle coppie coniugate, con o senza figli. D. McWirther e A. Mattison, che sono ricercatori gay (quindi non sospettabili di parzialità), hanno esaminato 156 coppie omosessuali: solo 7 di queste avevano avuto una relazione esclusiva, ma comunque nessuna era durata più di 5 anni. Le relazioni omosessuali durano in media un anno e mezzo i maschi gay hanno mediamente 8 partner in un anno fuori dal rapporto principale (Xiridou, 2003). In un’ampia ricerca di un volume di ben 506 pagine (si noti che questo volume è stato pubblicato dall’Istituto Kinsey, che non è certo ostile all’omosessualità, anzi l’ha fortemente promossa) di A.P. Bell e M.S. Weinberg (Homosexualities: A study of diversity among men and women, Simon & Schuster, New York 1978) svolta su un campione americano, si mostrava che su 574 uomini omosessuali solo l’1 % aveva avuto 3-4 partner, il 2 % 5-9, il 3 % 10-14, il 3% 15-24, l’8 % 25-49, il 9 % 50-99, il 15 % 100-249, il 17 % 250-499, il 15 % 500-999, il 28 % 1000 (mille) e più. Ed un’indagine su 150 uomini omosessuali di età tra i 30 e i 40 anni ha mostrato che già a quell’età il 65 % aveva avuto più di 100 (cento) partner sessuali (cfr. Goode – Troiden, 1980). Ci sono rare coppie omosessuali che continuano a coabitare per più anni, ma tra loro non c’è quasi mai esclusività nei rapporti.
3) Gli omosessuali hanno probabilità molto superiori di avere una salute peggiore, di avere problemi psicologici (cfr. Rothblum, 1990, p. 76; Welch, 2000, pp. 256-263), che si ripercuotono sui bambini. Anche in Olanda, dove il clima culturale è molto tollerante verso l’omosessualità, uno studio su 7.076 soggetti ha mostrato che i disturbi psicologici degli omosessuali sono davvero numerosi (cfr. Sandfort, 2001, pp. 85-91). Forse è anche per questo motivo che nell’ambiente omosessuale la percentuale di suicidi è superiore alla media. Infine, il tasso di violenza è assai alto (Cameron, 1996, pp. 383-404).
4) I bambini che vengono adottati hanno alle spalle già una storia di sofferenze e/o violenza: così, alla differenza tra i genitori naturali i genitori adottivi – che già di per sé costituisce una difficoltà – si viene ad aggiungere il fatto che la coppia dei secondi non è analoga alla coppia dei primi” (Lacroix, p. 56).
5) Ancora, “è insito nel bambino un bisogno di divisione dei ruoli, di sapere “chi fa che cosa” e “da chi mi posso aspettare questo atteggiamento e da chi mi posso aspettare quell’altro”" (Lobbia – Trasforini, p. 89).
Le convivenze si sfasciano spesso, ma anche i matrimoni naufragano…
Samek Lodovici: Sappiamo e vediamo tutti che anche un matrimonio può naufragare. Però è certamente l’istituto giuridico che dà le maggiori garanzie di durata perché, mentre per il matrimonio la fragilità è una forma di patologia, per le altre unioni essa è la norma, visto che non si impegnano a restare unite e come si riscontra dai dati poc’anzi riportati. Abbiamo già citato dati americani: 3 bambini su 4 nati da coppie di fatto vedono il naufragio dell’unione dei loro genitori prima dei 16 anni di età.
Ma quante sono le coppie conviventi che naufragano rispetto a quelle coniugate?
In Gran Bretagna il 75 % dei crolli delle coppie che hanno bambini piccoli riguarda genitori non sposati (cfr. http://www.avvenireonline.it/Famigli…/20060112.htm). Se dunque il matrimonio è come una casa costruita per abitarci per tutta la vita e che può crollare, gli altri tipi di unione sono come delle case costruite per stare in piedi solo per un certo periodo, dopo il quale crollano quasi sempre.
Dunque lo Stato dovrebbe proteggere il matrimonio monogamico per il bene dei bambini?
Samek Lodovici: Dunque, se ci mettiamo dalla parte dei bambini, vediamo che il matrimonio monogamico dà maggiore garanzie di stabilità, perché: a) il vincolo giuridico matrimoniale rafforza il legame; b) il diverso atteggiamento dei coniugi (che fanno un progetto di definitività) rafforza l’impegno; c) l’antropologia culturale dimostra che la ritualizzazione (per es. la cerimonia nuziale) di un impegno accresce la capacità di rispettarlo.
Inoltre lo Stato deve proteggere il matrimonio monogamico perché è l’istituto giuridico migliore per garantire la continuazione di una società.