Approfittando della pausa delle vacanze
estive e della debole vigilanza che essa induce, l’Organizzazione
Mondiale della Sanità ha pubblicato ai primi di luglio una nuova
edizione delle sue direttive tecniche riguardanti l’aborto. Il documento
non é ancora disponibile in francese. Il titolo originale é “Safe abortion: technical and policy guidance for health systems”. (“Aborto sicuro: guida tecnica e politica per il sistema sanitario”)
Lungi dall'essere un
manuale di procedure mediche testate e comprovate, esso è un vero e
proprio “libretto rosso” molto utile al lavaggio del cervello alle
femministe più convinte (caso mai, ne avessero bisogno …)
Per promuovere l’aborto libero, nel nome
della salute delle donne, il manuale stabilisce innanzitutto un dogma:
nei paesi in cui l’aborto è limitato o proibito, un gran numero di donne
muore a causa degli aborti clandestini praticati in cattive condizioni
igieniche. Per garantire il diritto alla vita di queste donne, bisogna
dunque liberare l’aborto da ogni vincolo legale.
Tale dogma è però fondato su due premesse totalmente false:
1. l’interdizione all'aborto o le
sue restrizioni legali non riducono il numero degli aborti, ma
dirottano il problema verso la clandestinità;
2. a causa di ciò, le restrizioni sull'aborto aumentano la mortalità materna.
Queste due affermazioni dell’OMS fanno ricordare la triste massima di George Orwell: “Siamo caduti così in basso che il primo dovere di un uomo intelligente in questo tempo è quello di dar prova dell’evidenza”.
Dove non si abortisce...si nasce di più
Per la prima affermazione, basti
ricordare che in Polonia, dove l’aborto era libero prima della caduta
del comunismo, e adesso è autorizzato solo per i casi di violenza e di
rischio per la vita della madre, il tasso di aborto ha registrato la
seguente evoluzione: da circa 130.000 aborti all'anno degli anni
ottanta a una media di 160 aborti all'anno dal 1999 al 2004. L’OMS
intende forse dire che 129 mila polacche, vanno ogni anno, ad
abortire all'estero?
Per svelare la seconda menzogna, il caso
del Cile è eloquente. Un ricercatore, il Dottor Elard Koch,
epidemiologo che insegna all'Università del Cile, ha dimostrato che, in
seguito all'interdizione totale degli aborti avvenuta nel 1989, il tasso
delle morti materne nel Paese è diminuito di circa il 70%. L’aborto più
sicuro è dunque quello… che non viene praticato!
L'offensiva abortista all'OMS
Tutti questi aneddoti resterebbero fini a
se stessi se l’OMS non pretendesse che il piano dell’ “aborto in ogni
caso” si imponesse a tutti i governi del mondo.
L’OMS consiglia fortemente di rendere
l’aborto totalmente libero: di farlo dipendere unicamente dalla
decisione della madre, a qualsiasi momento della gravidanza, per
qualsiasi motivo che ella possa ritenere valido, senza ritardi dovuti a
una riflessione previa e senza alcun ostacolo amministrativo. Persino
il Family Planning, il programma familiare per il controllo della
nascite attraverso i più svariati metodi contraccettivi, non si spinge
così lontano!
Tutto questo con il pretesto di eliminare le barriere d’accesso regolamentari o altre all'aborto.
In nome del principio secondo il quale
la decisione di uccidere il bambino spetterebbe solo e soltanto alla
madre, verranno quindi cancellate con un colpo di spugna:
-l’autorizzazione parentale nei confronti del minore;
- le restrizioni vigenti sulle istituzioni autorizzate a praticare l’aborto;
-le consultazioni preliminari;
- i ritardi obbligatori che intercorrono fra il consulto queste e l’operazione; e
-persino il limite delle settimane di gravidanza!
In altre parole, secondo l’OMS, una
donna dovrebbe essere autorizzata ad uccidere il suo bambino per
qualsivoglia motivazione (sia anche per sua semplice convenienza), in
qualsiasi momento della gravidanza (anche alla vigilia del parto), in
qualsiasi luogo e senza dover compiere trafile di alcun tipo.
Il cinismo dell’OMS traspare, per
esempio, nel modo apparentemente neutro e distaccato con il quale
favorisce l’eliminazione del limite massimo di mesi di gravidanza:
“Le leggi o le politiche che
impongono limiti sul periodo massimo di una gravidanza in cui un aborto
può essere praticato possono comportare conseguenze negative per le
donne che hanno superato questo limite. Tali leggi/politiche costringono
alcune di loro a procurarsi tale servizio presso operatori pericolosi o
ad auto-praticarsi l’aborto attraverso l’uso di Misoprostolo (farmaco abortivo induttore del travaglio,
ndr) o attraverso metodi meno sicuri, o addirittura ricorrendo a tali
servizi presso altri paesi, il che diventa molto oneroso, sposta oltre
nella gravidanza il periodo dell’intervento (e aumenta il rischio per la
salute) e crea ineguaglianze sociali”.
Per farla breve, il diritto della donna all'aborto sicuro deve essere assoluto e non può accettare alcuna restrizione!
Neanche le convinzioni religiose o
morali del personale sanitario. Su questo capitolo, l’OMS è
inflessibile. Sotto il pretesto che è imperativo “eliminare le barriere che impediscono l’accesso delle donne ai servizi sanitari”, si deve, dice l’OMS “assicurare che l’esercizio di obiezione di coscienza non impedisca le persone ad accedere ai servizi ai quali esse hanno diritto” Più avanti, l’organizzazione affonda la lama: “I
professionisti sanitari a volte si esentano loro stessi dai servizi
dell’ aborto sulla base dell’obiezione di coscienza a questo intervento,
senza pertanto riferire alla donna un altro operatore d’aborto. In
assenza di un medico disponibile, questo metodo può ritardare le cure
dovute alle donne che hanno bisogno dell’aborto sicuro, il che aumenta i
rischi per la loro salute nonché la loro vita. Benché il diritto alla
libertà d’opinione, di coscienza e di religione sia protetto dalla
legislazione internazionale dei diritti dell’uomo, quest’ultima stipola
pure che la libertà di manifestare le proprie credenze o religione deve
essere sottomessa alle limitazioni necessarie per proteggere i diritti
umani di terzi. La legislazione e le regole non devono, dunque,
autorizzare coloro che praticano e le istituzioni ad impedire l’accesso
delle donne a dei servizi sanitari legittimi. I professionisti sanitari
che invocano l’obiezione di coscienza devono avviare la donna ad un
altro professionista con buona formazione e disposto a fare
l’intervento, lavorando nello stesso centro sanitario o in un altro
centro d’accesso facile autorizzato alla pratica secondo la legislazione
nazionale. Quando questo avvio non è possibile, il professionista
sanitario che ha delle obiezioni sull'aborto deve praticarlo lui stesso
per salvare la vita della donna o per evitare danni alla sua salute”.
Imporre l' "aborto in ogni caso"
L’OMS non vuole solo forzare la mano
(piuttosto la coscienza) dei medici e infermieri, ma anche le
istituzioni sanitarie, come le cliniche o gli ospedali privati, a volte a
cura di istituzioni religiose. In effetti, la direttiva aggiunge questo
paragrafo : “I servizi sanitari devono essere organizzati in modo
da assicurare che un servizio effettivo della libertà di coscienza dei
professionisti sanitari nei loro ambiti professionali non impedisca le
pazienti di avere accesso a dei servizi ai quali esse hanno diritto in
conformità con la legge”.
In pratica, ciò vuol dire che un
ospedale cattolico dove i professionisti sono cattolici, deve avere un
medico che pratichi l’aborto per assicurare il sacrosanto diritto della
donna all'aborto …
Di fronte all'invecchiare dei militanti
dei primi tempi, alla mancanza di entusiasmo delle femministe moderne e
alla riduzione dei medici che praticano l’aborto, le lobby pro-morte
hanno appena fatto uscire dal loro arsenale l’arma nucleare : una
imposizione dell’ “aborto in ogni caso”, per mezzo degli organismi
internazionali in nome delle convenzioni internazionali.
Nemmeno George Orwell aveva immaginato questo.