sabato 23 febbraio 2013

Salvatore Crisafulli, il guerriero per i (veri) diritti negati


Ci vorrà tempo per cogliere l’evoluzione del concetto di guerriero e capire che oggi le guerre decisive sono invisibili e silenziose, combattute talvolta solo respirando, alzando lo sguardo come a dire «sono sopravvissuto, signori, eccomi qui». Ci vorrà senz’altro tempo, ma quel giorno tutti sapranno che l’uomo deceduto ieri, Salvatore Crisafulli, prima che il reduce da un incidente e dal coma, è stato questo: un guerriero. Indomabile e profetico, quasi immobile ma capace di sferrare la denuncia più micidiale contro la farsa materialista, e cioè l’idea che l’uomo – ogni uomo – valga nella misura in cui arriva e produce, trionfa e sa vantarsene.
Il tutto senza dare troppa importanza alla miopia di quanti, sentendone la storia, sperimentavano una compassione che lui, Salvatore, rovesciava in rabbia «contro un sistema sanitario che per interessi economici costringe la gente a vegetare». Ma di quale eutanasia andate blaterando – tuonava – se l’eutanasia di Stato esiste già, se per le Istituzioni i disabili più gravi non sono diversamente abili ma diversamente morti, reietti, costosi rompiscatole. Così, pur senza il favore della buona stampa e delle telecamere, che a stento immortalavano le sue sofferte proteste – altro che scioperini dietetici!-, Crisafulli ha saputo farsi interprete di un dramma sociale clandestino, che senza di lui sarebbe rimasto tale chissà quanto.

Non solo: col suo reportage dallo stato vegetativo e la sua narrazione del terrore che vivi quando tutti ti danno per spacciato e non hai neppure il fiato per mandarli a quel paese, è stato anche l’avvocato postumo, il difensore che Terri Schiavo (1963-2005) ed Eluana Englaro (1970-2009) non hanno avuto in tribunale, la prova vivente che l’unica cosa irreversibile, oggi, è l’ignoranza di chi crede alle persone trasformate in vegetali, alla favola eugenetica dell’uomo-pianta. Per questo Crisafulli faceva paura: era un guerriero tutto cuore e niente corazza, forte dell’unica arma che i suoi occhi brandivano continuamente, ora con dolcezza ora con indignazione: la verità. Adesso che non c’è più naturalmente ci manca. Ma il coraggio che ha dimostrato è troppo alto e la lezione consegnataci troppo nobile perché ci si azzardi a parlare al passato. Il guerriero per i diritti negati vive, e quei diritti sono ancora lì, da conquistare. Ora tocca a noi.