Dal Colosseo fino a Castel sant’Angelo senza partiti né tv, perché i messaggi forti mobilitano lo stesso. La marcia su Roma, temuta dal consigliere romano del Pd Dario Nanni, non c’è stata. Nessun figuro con muso torvo, e simboli strani, ha assalito con spranghe neri che passavano di là per caso; neppure un bar è stato assalito, per la sete che a volte fa sragionare anche i più moderati. I duecento pullman messi a disposizione dal sindaco Alemanno, che forse Nanni temeva potessero essere usati come arieti, non sono mai esistiti neppure quelli. Se non nella realtà virtuale raccontata da Corriere e Repubblica, che preferiscono parlare di presunte spese pazze del sindaco Alemanno (buono, quando appoggia il Gay pride, deplorevole quando cammina con i pro life), che di argomenti seri su cui forse non hanno riflettuto abbastanza. No, domenica 13 maggio, dopo il grande convegno scientifico sulla vita nascente presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, e dopo la commovente testimonianza di una donna che aveva abortito, per le strade di Roma ha sfilato un lunghissimo e pacifico corteo.
Dal Colosseo sino a Castel sant’Angelo. Chi ha letto qualche giornale si sarà immaginato personaggi isterici, ghigni satanici, nuvoloni in cielo, e l’aria bigia de “Il nome della rosa”. Invece, non era solo in cielo, il sole, ma anche negli occhi e sul volto delle migliaia di bambini, genitori, giovani e adulti che camminavano chiacchierando, parlando, talora pregando. E’ stata veramente una festa, una festa vera, benché convocata da associazioni più svariate che hanno in comune un’idea: il no all’aborto.
Si può dire no, decisamente no, all’aborto, alla cultura di Erode che sta sempre più penetrando nelle menti e nei cuori di questo occidente al capolinea, senza essere noiosi barbagianni, o pesanti brontoloni. Soprattutto se a dire che l’aborto è e rimarrà sempre un omicidio, doloroso per tutti, sono i volontari del Cav di Roma, presieduto da Giorgio Gibertini, il cui scopo è aiutare le mamme in difficoltà; o quelli del Dono, che stanno accanto anche alle donne che hanno già abortito e che non riescono a superare il dolore per il figlio perso… Soprattutto se a ricordarlo sono i volontari dell’ordine di Malta, le figlie di san Camillo, i barellieri dell’Unitalsi… che dedicano la loro vita e il loro tempo agli infermi… Chi dice no all’aborto, è perché dice sì alla vita; mentre chi dice sì, o ni, all’aborto, dice sì, o ni, alla vita!
Oltre quindicimila persone dunque, si sono incontrate, per la prima volta nella storia di questo paese, dopo l’introduzione della legge 194, in un gesto unitario, di popolo. Gli organizzatori avevano chiesto che nessuno portasse bandiere politiche, che nessuno cercasse di far prevalere la sua sensibilità sulle altre. Che nessuno urlasse slogan o facesse proclami…
Hanno dato l’esempio, per primi. Infatti a malapena si sono viste le tre o quattro bandiere di Famiglia Domani e del Movimento Europeo Difesa Vita (Mevd): come a dire che la marcia è di tutti, e che nessuno deve metterci sopra la firma, per protagonismo, per future carriere politiche o altro… Così anche personalità politiche di rilievo, come il senatore Stefano De Lillo, presidente dell’Intergruppo per la vita, l’europarlamentare Magdi Allam, il senatore Maurizio Gasparri, la senatrice Binetti, la consigliera regionale Olimpia Tarzia, premiata il giorno precedente dagli organizzatori per il suo pluridecennale impegno in favore della vita, sono rimasti composti in mezzo alla folla, salutati con simpatia, ma senza che venisse previsto un loro discorso dal palco.
Sfilavano accanto al trenino dei bambini, scoppiettante di vita e di musichette leggere; vicino ai filippini di Roma (compattissimi ed entusiasti dei gadget forniti dall’organizzazione: migliaia di piccole scarpine di lana fatte a mano, e la spillina “piedini preziosi”, riproduzione a grandezza naturale dei piedi di un bimbo di tre mesi nell’utero materno); accanto ad alcuni tibetani, nel loro caratteristico vestiario, con uno striscione che chiedeva la fine degli aborti forzati in Cina; vicino, ancora, ai simpatizzanti della Laogai Foundation e della Fondazione Lepanto, ai medici e infermieri in camice bianco dell’Aigoc di Giuseppe Noia; alla veste cardinalizia di monsignor Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, e agli abiti religiosi dei francescani e delle francescane dell’Immacolata e dei gioviali e canterini membri dell’Istituto del Verbo incarnato ecc… “Oggi è una grande giornata, un seme di speranza che darà frutto perché gettato in un terreno buono”, ha detto Virginia Coda Nunziante, coordinatrice della marcia, ringraziata da tutti per la sua abnegazione, la sua serenità, la sua pazienza. Perché mettere insieme tanta gente, senza soldi, senza partiti, tv e giornali, significa una sola cosa: che i messaggi forti e chiari, proposti con equilibrio, intelligenza e senza alcun fanatismo, hanno una forza intrinseca, la forza della verità, e mobilitano, da soli, la gente, la infiammano e ne riscaldano i cuori. Arrivederci al prossimo anno, hanno concluso gli organizzatori, sempre a Roma, il 12 maggio. Per un’altra marcia per la vita, cioè per la pace: quella che passa dal rispetto dei più piccoli e indifesi, del dono della vita, da riconoscere e custodire, sempre.
Francesco Agnoli